(VINO) Naturale, preternaturale, sovrannaturale… definirsi in positivo si può

La vera sfida, combattendo la guerra guerreggiata del cibo e delle bevande – dove il nemico, il complesso alimentare-industriale, è inauditamente più potente di noi – è quella di definire se stessi in modo positivo, evitando i “senza”, i “non come…” o i “privi di…”. È una trappola psicologica in cui chi è piccolo, maturo e riflessivo (pensante, via!) rischia costantemente di cadere, spinto dal suo farsi sempre domande, dal voler fornire oneste rispose e dalla soverchiante potenza comunicativa dei produttori convenzionali e industriali.Il vino “naturale” però HA questa forza di definizione, al di là della sua natura biologica e dialettica. Certo, ci sono coloro che ti diranno che il vino naturale non esiste, che sono solo chiacchiere. Ebbene è proprio così; per quelle persone non esiste, ed è bene che sia così: bevano vino in cartone. In realtà la polemica sul fatto che si possa definire o meno un vino “naturale” è piuttosto puerile e dettata da una scarsa comprensione – oltreché della natura stessa della lingua – delle condizioni in cui, oggi, noi vinicoltori siamo costretti a produrre.
Uno dei primi punti criticabili e molto criticati, quando si affronta la storia e la questione del movimento dei vini naturali, è proprio l’uso di questo aggettivo, “naturale”, perché si vede la questione sotto una semplice dicotomia naturale/artificiale, sottolineando che il vino, essendo opera umana, è in sé un prodotto d’artificio, quindi vino naturale sarebbe in qualche modo espressione ossimorica. Vediamo un po’ come possiamo inquadrare meglio la questione.
C’è, appunto, un aspetto storico. Il movimento dei vini naturali nasce… quando nasce? In qualche articolo recente potrete aver letto che sarebbe nato in Francia negli anni ’70 del XX secolo. Ebbene in Francia c’è anche chi tale nascita la fa risalire agli storici scioperi dei vignaioli del 1903 e 1904*, durante i quali, tra le altre cose, si chiedeva il ritorno a un “vino naturale”, contro l’uso diffuso, nella produzione, di aggiungere acqua e zucchero ai vini, per non parlar d’altro. E, LORO, di metterci lo zucchero non hanno mai più smesso. Sia come sia, come sempre in Francia creano una parola di cui da noi non s’era mai sentito il bisogno, fino a che la moderna enologia non ci ha ridotto a considerare certi vini alla stregua di intrugli velenosi, stracarichi di anidride solforosa e altre sostanze più o meno puzzolenti. Il vino naturale, prima dell’industria enologica, era, come si usa dire ora, semplicemente “il vino”. Poi sono dovuti iniziare i distinguo. Quindi, riguardo a quelli che non capiscono a cosa serva questa definizione le cose sono due: o hanno la bocca foderata di pastrami o sono in perfetta malafede.
Torniamo però alla questione linguistica e alla nostra positiva definizione: c’è un malinteso grosso come una casa, da parte di chi critica l’uso dell’aggettivo. Queste persone pensano che “naturale” sia qualcosa di afferente alla natura scissa dall’uomo, parte di un’ideale universo purificato dal marciume antropico. È da sciocchi però, credetemi, credere che esista qualcosa che riguarda la nostra vita quotidiana, la nutrizione della nostra famiglia, il nostro respirare, che sia davvero indipendente dall’agire umano nei millenni. Un esempio divertente? Il limone. Questo ubiquo frutto, che ogni giorno si inserisce nelle nostre pietanze e nelle nostre bevande, in natura non è mai esistito! Ebbene sì: si pensa che siano stati i cinesi a ricavarlo, ibridando due agrumi naturali. E se il limone è un costrutto artificiale, cosa non lo è? Certamente lo è la vite. Le varietà odierne di questa magica pianta non hanno molto a che vedere con i loro antenati selvaggi e praticamente tutte le piante negli attuali vigneti sono dei mostriciattoli di frankestein, con i piedi appartenenti ad una pianta e la testa clonata, riproduzione fedele di un unico progenitore.Ebbene, si dirà, allora a maggior ragione “NATURALE?!”Eh sì, perché quello che c’è di naturale è l’ottenimento del vino attraverso un processo in cui la vite, l’uomo e i microrganismi danzano armoniosamente, senza le forzature derivanti da una tecnica enologica che tenta di ridurre un prodotto magico a una bevanda da supermercato. In questo il nostro vino È naturale.
Un altro errore è chiamare in causa visioni magiche e spiritualiste sull’unione tra uomo e natura. Qual’è l’errore? Porre un falso problema. La chiarezza che ti dona essere vinicoltore in Toscana, uno cresciuto qui e che ha vissuto anche altre parti di questo grande mondo, è che la natura senza l’uomo non esiste, come non esiste il paesaggio, perché essi sono costrutti linguistici e culturali. Il malinteso nasce inevitabilmente, perché, ancora una volta, a noi certe parole non sarebbero mai servite: nei nostri boschi c’è l’uomo, anche i più apparentemente selvaggi. Ogni sasso della nostra terra è stato rivoltato molte volte da mani umane, ma questo non ha portato alla distruzione dell’ambiente, come altrove, e come purtroppo sta succedendo adesso. Un territorio così fortemente antropizzato e così naturale ha un nome: si chiama giardino o, anche meglio perché ci si mangia, lo chiamerei “orto”. Il faut cultiver notre jardin.
Non è natura, non è cultura è vita. È la vita millenaria di una specie nel suo ambiente naturale, con la sua capacità di modificare utilmente, o dannosamente, i processi che lasciati indisturbati favorirebbero qualche altra specie e non noi. Questa è natura, questa è cultura, questa è la realtà che per il contadino toscano non avrebbe richiesto nemmeno uno di questi paragrafi.Il vino naturale è come l’aria fresca. Esiste solo nel senso che abbiamo deciso di dargli. Il resto è sterile polemica. È questa la nostra positiva definizione. In quanto a te, se sei arrivato fino a qui significa che tu, internamente sai già cosa significa vino naturale PER TE, magari perché anche tu hai il bisogno di un vino che sia piacere e magia, ma anche cibo e forza naturale.
Di berlo e, se il caso, di farlo. È questo che stai cercando e che hai effettivamente trovato nel vino naturale, te lo confermo.
NOTE:
*Alain Raynal, Alain Raynal, Les Vendanges de la colère, Au diable vauvert, 2006