Biologia,  Filosofia,  Frontiere della scienza,  Genetica,  Intelligenza Artificiale

Ripassare il transumanesimo per ricominciare a discuterne

(brogliaccio del video: www.youtube.com/watch?v=asaBcbJqqSU)

[Premessa] Ciao! Oggi ci chiediamo “che fine ha fatto il transumanesimo?” La domanda mi è venuta alla mente dopo aver fatto la diretta di una lezione del filosofo Stefan Sorgner, col quale a giorni faremo un altro incontro on-line, il che è davvero un occasione d’oro, dato che io per primo non ho mica capito bene questo transumanesimo europeo. Comunque anche gli altri membri filosofi di Epistème, molto più dotti del sottoscritto, mi sono comunque sembrati desiderosi di chiarire meglio la questione con Sorgner, quindi vi farò sapere a brevissimo della diretta che stiamo preparando. Riparleremo di: euro transumanesimo, di quali sono le sue peculiarità, quale la proposta e quali le radici nella “filosofia continentale”.

Sia detto per inciso, in Epistème siamo in diversi a non nutrire nessuna simpatia per i filosofi continentali alla Hidegger, alla Vattimo o, liberaci!, alla Severino, men che mai quindi siamo curiosi di capire meglio, ma saremo comunque tutti di mentalità aperta verso il contributo di Sorgner.

In vista di questo e dato che mi sono nati molti dubbi, volevo intanto rinfrescarmi la memoria, vedere se fosse possibile fare insieme un bel ripasso, e ho pensato che non ci fosse modo migliore che riprendere qualche antica lettura e farne un breve sunto. Che c’è di meglio che illustrare qualcosa ad altri, per riportarlo alla luce dalle polverose soffitte della memoria e degli scaffali della libreria?

E, d’altra parte, il transumanesimo è un argomento che mi ha sempre interessato, fin dai tempi dei tempi, ma d’altra parte, lo dico onestamente, mi pareva anche un tema un tantinello tramontato. Certo, ultimamente certe forme tecno-digi-cyber-punk sono di nuovo di grande attualità e a volte sembra quasi sul punto di diventare realtà, sotto forma di possibili immortali digitali, intelligenze artificiali superintelligenti, corpi potenziati, esseri umani capaci di sconfiggere la morte o, almeno, di ritardarla indefinitamente. Questa particolare declinazione tecnocratica del transumanesimo è molto cara alla paypal-mafia e ai tecno-oligarchi che dominano oggi la scena.

Ma un tempo di transumanesimo, declinato in chiave biologica, eugenetica e filosofica, e non solo tecnologica, ne parlavano i filosofi, gli scienziati e perfino qualche politico, non soltanto i padroni della Silicon Valley. In questo video proviamo a riprendere le fila di questo discorso nel suo complesso, non dimenticandoci delle tante aberrazioni che queste idee hanno prodotto in passato, con una piccola genealogia, un’esplorazione delle sue correnti, una lettura critica del presente e uno sguardo al futuro.

[Sezione 1: Le radici antiche di un sogno] L’idea di non farci intrappolare per sempre dai limiti umani non è una novità moderna. È un sogno antico. Il più antico scritto mitologico umano, il mito di Gilgamesh, è, per dire, una storia sulla ricerca dell’immortalità, oltreché ovviamente sull’amore, sull’amicizia, sul potere e su un sacco di altre cose. Potere del mito!

Oppure, andando anche sul banalotto a livello liceo, c’è il Prometeo greco che ruba il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, cercando di elevarli dallo stato bestiale, verso un livello divino. E ne pagherà lui per primo il prezzo sotto forma di una eterna punizione.

Ma anche nella filosofia si è molto riflettuto su questo desiderio di elevazione fisica e spirituale: per Platone, l’amore è desiderio d’immortalità; per gli Stoici, la ragione ci rende simili agli dèi.

E poi c’è Dante che, in una prospettiva mistico-religiosa, nel Paradiso scrive “transumanar significar per verba non si poria”, cioè “l’esperienza di varcare i confini dell’umano non si può descrivere a parole”. E anche questa è una citazione trita e ritrita, me ne scuso, ma trovo comunque potente la sua capacità evocativa e non me lo potevo risparmiare.

Con il Rinascimento e poi con l’Illuminismo, l’essere umano diventa padrone e artefice del proprio destino: l’uomo è misura di tutte le cose, capace di conoscere, dominare e trasformare la natura. Forse perfino la SUA stessa natura.

L’umanesimo rinascimentale ha posto al centro l’essere umano come soggetto razionale, libero, capace di costruire il proprio futuro. Il transumanesimo eredita questa fiducia nelle capacità umane, ma la porta un passo più in là: non ci si limita più a migliorare la società, l’educazione o le istituzioni – ora si vuole intervenire direttamente sul corpo, sulla mente, sull’identità biologica. È, in un certo senso, un umanesimo radicale: se l’umanesimo voleva elevare l’uomo, il transumanesimo vuole trasformarlo e renderlo più che umano.

Uno dei protagonisti di questa riflessione è Julian Huxley, biologo, evoluzionista, paleontologo e famosissimo intellettuale, primo direttore e fondatore dell’UNESCO, nipote del bulldog di Darwin, Thomas Henry Huxley, e fratello dello scrittore de “Il Mondo Nuovo”, Aldus Huxley. È Julian Huxley, appunto, che nel 1957 conia il termine “transhumanism”, “transumanesimo”, nell’accezione che gli diamo oggi. Fa ciò nel suo saggio New Bottles for New Wine, ovvero “Nuove bottiglie per un vino nuovo”, che nonostante il titolo non parla affatto di vini e bottiglie, ma bensì di un approccio al “transumanar” partendo dall’umano, verso una nuova condizione umana che era non solo possibile, ma auspicabile: l’uomo doveva prendersi carico dell’evoluzione, diventare cosciente del proprio ruolo in essa. Huxley parlava di una nuova fase dell’umanità, in cui la scienza e la tecnica avrebbero permesso di trascendere i limiti naturali. Un’evoluzione non più cieca, ma consapevole. Un progetto ambizioso, figlio dell’ottimismo illuminista e di una visione fortemente biologista e darwiniana. Decisamente molto british!

Ovviamente non posso proseguire oltre senza citare l’influenza sotterranea ma decisiva di Nietzsche, e in particolare della sua idea dell’Übermensch del “superuomo”, su tutta la riflessione transumanista. Nietzsche non era certamente né tecnologo né un fautore del progresso scientifico in senso moderno, ma il suo invito a superare l’umano, che era per lui troppo umano, a rompere con la morale tradizionale e a creare nuovi valori, ha ispirato – direttamente o indirettamente – molti dei discorsi successivi sul potenziamento umano. L’idea di un essere capace di autodeterminarsi radicalmente, di andare oltre la morale comune, ha affinità con alcune delle visioni più radicali del transumanesimo, soprattutto quelle più nichiliste o provocatorie, come nel caso del postumanesimo proprio di Sorgner.

[Sezione 2: Le  correnti contemporanee del transumanesimo] Vediamo un po’ come si articola il transumanesimo, però, perché davvero quello che qui io etichetto così non è in nessun modo un movimento monolitico. È un arcipelago di visioni, filosofiche e pratiche diverse e spesso contrastanti. C’è, per esempio, la corrente estropiana, fondata da Max More, che guarda con ottimismo e spirito libertario al potenziamento umano e propone di raggiungerlo attraverso una combinazione di tecnologie emergenti e filosofia. Tra i mezzi principali troviamo l’uso della nanotecnologia, della biotecnologia, dell’intelligenza artificiale e delle neuroscienze, tutti strumenti che consentono l’espansione delle capacità fisiche, cognitive e psicologiche umane. More insiste inoltre sull’importanza di un’etica individualista e di una cultura dell’auto-miglioramento continuo, valorizzando la libertà personale di scegliere il proprio cammino evolutivo. In questa visione, la trasformazione dell’umano non deve essere imposta dall’alto, ma costruita consapevolmente da ogni individuo secondo i propri desideri e obiettivi di vita.

Poi c’è Humanity+, più attenta all’aspetto umanista: potenziarsi sì, ma senza perdere di vista i diritti umani, l’equità, la responsabilità sociale.

Alcuni transumanisti si concentrano sull’immortalità digitale: il sogno è quello di trasferire la coscienza su supporti artificiali – il cosiddetto “mind uploading”.

Altri si dedicano a obiettivi più immediati, come le protesi biomeccaniche, la stimolazione neurale, la genetica.

C’è anche chi ha provato a dare una declinazione politica al movimento: il tecnoprogressismo cerca di conciliare le promesse tecnologiche con le esigenze della giustizia sociale, mentre il “transumanesimo democratico” si chiede come queste trasformazioni possano essere distribuite in modo equo.

Un altro esempio è quello del transumanesimo femminista. Questa prospettiva mette al centro una critica radicale alle premesse androcentriche del pensiero transumanista classico, spesso dominato da visioni maschili, occidentali e, secondo le autrici di questo orientamento, tecnologicamente ossessionate dalla potenza e dal controllo. Le transumaniste femministe, come Donna Haraway con il suo celebre “Manifesto Cyborg”, propongono una visione ibrida e relazionale del potenziamento umano, in cui le tecnologie non servono solo ad aumentare forza e longevità, ma a decostruire identità rigide, superare binarismi e reinventare i corpi in chiave politica e inclusiva. In questa prospettiva, il cyborg woke diventa un simbolo di resistenza e possibilità, più che di dominio e prestazione.

In Italia, Riccardo Campa ha proposto anche lui una via europea al transumanesimo, più legata alla filosofia e meno all’estetica da startup. Rispetto a Stefan Lorenz Sorgner, Campa mantiene una posizione più esplicitamente radicata in una tradizione laica e razionalista, in continuità con l’umanesimo illuminista. Il suo approccio tende a considerare il transumanesimo come una prosecuzione del progetto moderno di emancipazione umana, legato alla libertà individuale, al progresso scientifico e alla giustizia sociale. Sorgner, invece, adotta una prospettiva che si richiama al postumanesimo filosofico e al pensiero nietzschiano, mettendo in discussione la centralità della dignità umana tradizionalmente intesa e criticando alcuni assunti della bioetica kantiana. Inoltre, mentre Campa tende a usare il linguaggio dei diritti e dell’etica secolare, Sorgner è più provocatorio e talvolta volutamente destabilizzante, interessato a decostruire il concetto stesso di “umano” e ad esplorare un pluralismo di forme di vita e possibilità di esistenza. Entrambi però condividono una forte attenzione per il principio di autodeterminazione e per il ruolo centrale della tecnologia nella trasformazione dell’essere umano.

Quanto al loro rapporto con la filosofia continentale e italiana, si può dire che entrambi vi attingono in modo critico e selettivo. Campa, pur essendo attento alla tradizione filosofica europea, si distacca dalle derive irrazionaliste e heideggeriane, preferendo un approccio più vicino alla filosofia analitica e alla sociologia critica. Sorgner invece si inserisce più chiaramente nel solco della filosofia continentale tedesca, specialmente nella scia nietzschiana e post-strutturalista, ma si confronta anche con pensatori italiani come Vattimo o Severino per prenderne le distanze e ridefinire un nuovo terreno postumanista. La differenza è che per Campa la filosofia è uno strumento per guidare responsabilmente il cambiamento, mentre per Sorgner è spesso un dispositivo per problematizzare i fondamenti stessi di ciò che intendiamo come “umano”, “libertà”, o “etica”. Comunque questi aspetti li approfondiremo a breve con Sorgner stesso. Comunque questi aspetti li approfondiremo a breve con Sorgner stesso.

Oltre a quelli citati, pensatori come Nick Bostrom, noto per le sue analisi sui rischi esistenziali e la simulazione, Ray Kurzweil, teorico della “Singolarità”, FM-2030 uno dei primi a usare il termine “transumano” in un contesto moderno, Anders Sandberg, e Natasha Vita-More, moglie del già citato Max More e figura a sua volta importante dell’estropianesimo e del design transumano sono centrali nel movimento ma mi perderei, cercando di riassumere il pensiero di ognuno di loro.

Dato che ho fatto un riferimento a vol d’uccello alla genetica come via di trasformazione dell’umano, non posso fare a meno di soffermarmi brevemente sul tema storicamente spinoso dell’eugenetica. Un argomento che oggi mette a disagio, ma che ha rappresentato un passaggio fondamentale – e inquietante – nella storia delle idee sul miglioramento umano. L’eugenetica ha avuto una lunga e controversa storia, come sappiamo. Il programma nazista di “igiene razziale”, che mirava all’eliminazione sistematica dei “difettosi” e alla selezione artificiale della “razza superiore”, altro non era che una forma di transumanesimo privo di qualsiasi empatia e compassione. Il che mi fa ricordare che ultimamente Musk, tra le sue molte boiate, ha recentemente sostenuto che la più grande debolezza dell’Occidente è l’empatia. Infatti l’eugenetica violenta e impietosa non è stata solo una cifra del Terzo Reich. Prima e dopo la Germania nazista, anche in paesi variamente democratici come gli Stati Uniti, la Goenlandia Danese, il Giappone e la Svezia, solo per nominare i primi  esempi che mi vengono in mente, si sono praticate sterilizzazioni forzate su persone considerate inadatte alla riproduzione: poveri, disabili, donne ribelli. L’idea che si potesse migliorare la società eliminando dal pull genetico i difettati e impedendo la nascita dei “meno adatti” era diffusa in molte élite scientifiche e politiche. E questa idea c’è ancora e penso che tutti noi sappiamo bene dove dobbiamo puntare lo sguardo per trovarla.

La questione etica qui ha un rilievo enorme, perché ormai sappiamo bene quanto sia sottile il confine tra l’ideale del miglioramento e il rischio della discriminazione sistematica o anche del genocidio.

Per questo il transumanesimo moderno ha dovuto, anche faticosamente, prendere le distanze dalle pratiche eugenetiche coercitive, e anzi si è spesso battuto proprio per la libertà di scelta individuale – il cosiddetto principio di “morphological freedom”: la libertà di modificare o non modificare il proprio corpo, purché consapevolmente e senza imposizioni. Tuttavia, il fantasma dell’eugenetica non è facile da scacciare, e ogni discorso sul potenziamento umano deve oggi confrontarsi con queste ombre del passato.

Un caso recente che ha riacceso il dibattito bioetico sul transumanesimo e su pratiche eugenetiche piratesche, è quello del medico cinese He Jiankui, che nel 2018 ha annunciato di aver creato i primi esseri umani geneticamente modificati. Ha utilizzato la tecnica CRISPR-Cas9 per intervenire sugli embrioni di due gemelle, alterando il gene CCR5 nel tentativo di renderle resistenti al virus dell’HIV. La notizia ha scosso la comunità scientifica mondiale, non solo per la mancanza di trasparenza e consenso informato, ma soprattutto per il salto drastico da una ricerca di laboratorio a un’applicazione sugli esseri umani. L’operazione è stata ampiamente condannata, sia per motivi etici che scientifici, a livello internazionale, e He Jiankui è stato infine condannato a tre anni di carcere dalle autorità cinesi.

Questo episodio mostra chiaramente quanto la linea tra potenziamento e sperimentazione irresponsabile possa essere sottile, e quanto siano necessari limiti, controlli e una riflessione pubblica profonda, ma soprattutto una conoscenza molto più profonda di quella attuale sulle conseguenze di certi interventi, prima di spingersi oltre certi confini.

[Sezione 3: I critici contemporanei del transumanesimo]

Anche per quel che abbiamo detto sull’eugenetica, non sorprende che parallelamente allo sviluppo di scuole di pensiero e proposte transumaniste, si è sviluppato un ampio ventaglio di critiche, che oggi si possono considerare a pieno titolo come una sorta di contro-discorso transumanista. Le obiezioni arrivano da diversi campi: filosofia, sociologia, bioetica, scienze cognitive e perfino teologia.

Uno dei critici più noti è il filosofo Jürgen Habermas, che ha espresso preoccupazione per le modifiche genetiche sugli esseri umani, affermando che potrebbero minare l’autonomia morale degli individui, soprattutto se tali modifiche vengono imposte prima della nascita, senza consenso. Per Habermas, l’essere umano modificato geneticamente rischia di essere trattato come un prodotto progettato, perdendo così la propria libertà costitutiva.

Anche Francis Fukuyama ha definito il transumanesimo come “l’idea più pericolosa del mondo”, paventando che il potenziamento umano possa creare nuove forme di disuguaglianza sociale e minare la coesione delle democrazie liberali. L’idea di una società divisa tra potenziati e non-potenziati, in cui solo i ricchi possano permettersi miglioramenti cognitivi o biologici, è una delle principali critiche sollevate anche da movimenti di giustizia sociale.

Da parte dei bioeticisti, figure come Leon Kass hanno sottolineato il rischio di una perdita di umanità legata al desiderio stesso di superare i limiti naturali. Secondo Kass, c’è una saggezza intrinseca nella fragilità, nella mortalità e nella finitudine umana, e volerle cancellare rischia di stravolgere ciò che rende la vita umana degna di essere vissuta.

Da un’altra prospettiva ancora, molti critici denunciano l’eccessiva fiducia riposta nelle capacità della tecnologia, osservando che spesso le promesse del transumanesimo sono più simili a narrazioni mitologiche che a scenari scientificamente plausibili. Tra questi c’è anche chi denuncia una forma di “solutionismo tecnologico”, per cui ogni problema sociale o umano viene affrontato unicamente attraverso soluzioni ingegneristiche o algoritmiche, ignorando la complessità delle relazioni e dei significati umani.

Alcuni antropologi e pensatori postcoloniali criticano l’universalismo implicito del discorso transumanista, che spesso assume come riferimento un ideale di soggetto occidentale, maschio, bianco, razionale, sano e performante, e lo propone come standard evolutivo per tutta l’umanità.

Su questa stessa linea troviamo il pensiero femminista, con voci come quella della filosofa italiana Rosi Braidotti, che con il suo postumanesimo filosofico invita a decostruire la centralità dell’Uomo occidentale, maschio, bianco, razionale e padrone della natura. Braidotti guarda con sospetto alle promesse del transumanesimo, che a suo avviso rischiano di perpetuare un modello di soggetto neoliberale e tecnocratico, centrato sull’autonomia individuale e sull’ottimizzazione delle performance. Il suo postumanesimo critica questa visione, proponendo invece una prospettiva che valorizza la relazionalità, la vulnerabilità e l’interconnessione tra umano, animale, macchina e ambiente. Non si tratta per lei di superare l’umano potenziandolo, ma di ripensarlo radicalmente, decentrando il soggetto e abbandonando l’idea di un’identità stabile e dominante.

Non secondariamente la Chiesa cattolica ha espresso riserve importanti nei confronti delle promesse transumaniste. Nei documenti del Magistero e negli interventi di diversi teologi e bioeticisti cattolici, si sottolinea il rischio che l’ideale di potenziamento umano finisca per ledere la dignità della persona, trasformando l’essere umano in oggetto di manipolazione. L’idea di un uomo che si crea da sé, superando ogni limite naturale, entra in tensione con la visione cristiana della creaturalità e della dipendenza originaria dell’uomo da Dio. La vita, per il pensiero cattolico, non è una proprietà da plasmare a piacimento, ma un dono da custodire. Inoltre, la spinta al superamento dell’umano rischia di negare il valore redentivo del limite, della sofferenza e della finitudine, elementi centrali nella teologia cristiana della salvezza.

Insomma, se da un lato il transumanesimo vuole ridefinire ciò che significa essere umani, dall’altro deve confrontarsi con critiche che mettono in discussione non solo i mezzi, ma anche i fini di questo progetto. Le domande che emergono da queste critiche – sulla libertà, l’uguaglianza, l’identità e il significato dell’esperienza umana – non possono essere liquidate con leggerezza, perché lo scenario di un futuro transumano contiene sì grandi promesse di miglioramento della condizione umana, ma mettendo a rischio gli equilibri stessi che hanno portato la nostra specie ad essere ciò che è oggi.

[Sezione 4: Il presente e i paradossi del transumanesimo] Ma, in generale, che cosa sta succedendo intorno all’idea del transumanesimo? Intanto parliamo ogni giorno, continuamente, ossessivamente di intelligenza artificiale che, come dicevo sopra è una delle prospettive “evolutive” dell’umanità.

Poi non ci facciamo mancare cose come la longevity biotech, il biohacking, la robotica e la crionica. Molte delle idee del transumanesimo, del tranumanesimo tecnologico, sono diventate quasi realtà – o quantomeno progetti in fase avanzata di pianificazione. Ma curiosamente, proprio mentre queste tecnologie avanzano, il movimento transumanista come tale, come movimento di riflessione sul destino dell’umano, sembra essersi pressoché dissolto. Perché? Forse perché molte sue promesse si sono scontrate con i limiti tecnici ed etici: l’upload della coscienza resta fantascienza, e l’immortalità è ancora molto lontana se mai ce la potremmo augurare. Probabilmente ogni forma di pensiero e di arte transumanista, pensare alla tramontata letteratura cyberpunk, è stata fagocitata dal capitalismo falsamente idealista e fortemente ideologizzato delle big tech, che ha assorbito i simboli del movimento per il miglioramento dell’umano e li ha trasformati in puro marketing: oggi si parla di “singolarità” o “AI superintelligente” più per vendere che per pensare. Il rischio è che il motto “mutare o perire” si sia trasformato in un imperativo al conformismo tecnologico: non più emancipazione, ma ansia da prestazione potenziata. E intanto crescono le disuguaglianze, e le tecnologie che avrebbero dovuto liberarci rischiano di schiacciarci sotto nuovi poteri algoritmici. Non è più una gara tra il superumano e l’umano, ma tra coloro, i più ricchi e potenti, che non vogliono assumersi la briga di considerare che la maggior parte della nostra specie ancora aspira alla mera dignità del vivere sano, al sicuro e ben nutrito, vedendo solo ciò di cui potranno beneficiare loro, nel loro miserabile egoismo. A un certo punto, quando un individuo troppo forte, potente e bello per essere vero, minaccia con il suo individualismo la specie stessa, la logica della lotta per la sopravvivenza è che la specie provveda a mettere fine a quella diramazione eccellente ma deleteria per il gruppo.

[Sezione 5: Il futuro del transumanesimo] E quindi? È finita? Nessuna prospettiva di transumanar virtuosamente e portando con noi tutti gli altri? D’altra parte la realtà è che siamo umani da molto più tempo di quanto abbiamo fin qui creduto e il nostro corpo e il nostro cervello, pare chiarito e accertato oramai, ne parlavamo qui con Olga Rickards (video su umani da 6 miolioni di anni), è sostanzialmente immutato da quando la nostra specie si è districata dai cespugli evolutivi e letterali da cui proviene. In passato si è più volte sostenuto, e questo è uno degli argomenti di un certo tipo di transumanesimo, che attraverso la cura, la medicina e la cultura, abbiamo arrestato la nostra stessa evoluzione, quantomeno la nostra evoluzione biologica. Ma proprio per questi ragionamenti forse il transumanesimo deve ancora a sua volta evolvere in un ethos meno ingenuo, che forse si trasformerà in qualcosa di nuovo: un postumanesimo ecologico, magari, che metta al centro la relazione tra umano e non umano; o una relazione innovativa con le tecnologie tramite le quali alcuni sperano di poter elevare l’umano, capace di riflettere sul potere implicato nei dispositivi che usiamo o che, magari stiamo preparando per succederci sulla via dell’evuoluzione.

O forse il transumanesimo si ridurrà a uno dei tanti antiquati modi di guardare una realtà che ogni volta ci supera in fantasia, riducendosi semplicemente a una fase storica superata, resa obsoleta da una nuova sensibilità più consapevole dei limiti, della fragilità e della complessità della vita.

Ma una cosa è certa: la domanda che il transumanesimo ci pone non è ancora passata di moda. È la domanda su cosa vogliamo diventare. E questa, partendo dal presupposto che chi non decide lascia spazio ad altri per decidere per lui, oggi più che mai, resta una domanda fondamentale.

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