L'Informazione

Prigionieri dell’infosfera: come riprenderci il governo della nostra anima

( brogliaccio del video: www.youtube.com/watch?v=ONbOsiCDw2o )

Voglio convincervi che siamo adesso, tutti noi, in qualche misura prigionieri dell’infosfera e che il rischio è che prossimamente le sbarre di questa prigione si potranno irrobustire e infittire, non solo a danno del cittadino cinese, ma anche per noi, abitanti del democratico e privilegiato occidente.

Ma l’infosfera è forse la creazione collettiva più importante che l’umanità abbia mai iniziato a costruire. Una versione incredibilmente più enorme e, se tutto andrà bene durevole, delle sette meraviglie tutte insieme. L’infosfera è dove la nostra consapevolezza e la nostra coscienza prendono e potranno prendere vita e autonomia dal dominio della materia.

Oppure è il vortice in cui tutte le nostre vite e individualità finiranno risucchiate.

La cosa dipende dalle scelte che faremo nei pochi prossimi anni.

Infosfera è un termine che non ha mai preso davvero piede, ma essendo un’immagine evocativa, lo si è cercato di definire in vari modi. Il più immaginifico è forse quello di “regno metafisico di informazioni, dati, conoscenza e comunicazione, popolato da entità informative chiamate inforg (o organismi informativi).”

Non so se posso digerire l’uso del termine “metafisico”, in questo contesto. Lo sento e lo percepisco come qualcosa che forse non è puramente fisico, ma che comunque esiste in forza della trasmissione di informazione tra individue e tra comunità, sempre dipendente dalla tecnica, sia essa pure la tecnica del cantastorie che perpetua e diffonde verbalmente la conoscenza della tribù o del pittore rupestre.

Ma si può anche andare oltre senza per questo necessariamente sconfinare nel metafisico. Nel mio video “Menti quantistiche” ho già parlato della tendenza contemporanea nella scienza e altrove a dare corpo e consistenza fisica all’informazione. C’è anche chi ipotizza che ciò potrebbe gettare un ponte definitivo tra mente e mondo, addirittura.

E questo ponte non potrà che esistere nell’infosfera.

Secondo Roberto Finelli, in “Filosofia e tecnologia” l’infosfera “è la concezione del mondo come scambio e messa in rete continua di informazioni, più precisamente come un luogo unificato e globalizzato da un processo permanente di accumulazione, calcolo e trasmissione di informazioni.”

Il che non esclude per niente il condividere storie di caccia e di paura intorno al fuoco della grotta. L’infosfera esiste da sempre, è l’unione delle menti umane attraverso la tecnica, ma negli anni recenti essa si è estesa, inglobando moltissimi aspetti della nostra esistenza nella sua frazione più strettamente tecnologica: il ciberspazio.

Questa considerazione marca una netta differenza tra infosfera e il ciberspazio o il villaggio globale di McLuhan. Il ciberspazio è infatti solo una parte dell’infosfera, e se oggi esso ci appare preponderante, in definitiva potremmo spegnerlo improvvisamente, ameno in linea di principio. Potremmo prendere il ciberspazio e farlo morire, almeno temporaneamente, privandolo semplicemente dell’elettricità o colpendolo con un impulso elettromagnetico. Ma finché esisterà anche un solo essere senziente che percepirà il mondo, l’infosfera continuerà ad esistere. Se esisteranno due di questi esseri l’infosfera li unirà e li ingloberà entrambi.

Uno dei più noti pensatori ad occuparsi di questa materia, Luciano Floridi, si spinge a identificare l’infosfera con l’Essere, avventurandosi verso l’elaborazione di un’ontologia informazionale.

Quello di infosfera è quindi un concetto quantomeno utile per iniziare a ragionare su quella che di fatto è una parte fondamentale della nostra esistenza. Il nostro esistere in forma di inforganismi (termine ideato proprio da Floridi), in una realtà informazionale E, oggi, essa è imprescindibilmente una realtà tecnologica, che permea ogni momento della nostra esistenza.

C’è stato chi ha paragonato il nostro stato di immersione nell’infosfera con quello dei pesci nell’acqua e degli uccelli nell’aria. Immagine evocativa quanto poco accurata e molto dipendente da come si interpreta il termine, come abbiamo visto. Ma di certo la componente tecnologica dell’infosfera oggi ne è una parte evidente e molto importante. Dedichiamo certamente più tempo agli apparati che compongono il ciberspazio, piuttosto che con gli aspetti dell’infosfera quali il racconto intorno al fuoco.

Ma allora perché sono partito dicendo che siamo “prigionieri” dell’infosfera. Perché la parte che si è infinitamente espansa negli ultimi anni, che chiamiamo ciberspazio con terminologia un po’ retro’, è oggi governata o da grandi corporazioni e o da governi autoritari. Questa è una prospettiva che non possiamo accettare supinamente. È uno scenario a cui dobbiamo oggi opporre quella resistenza che domani forse diverrebbe impossibile.

Nell’oggi si fa un gran discutere di Intelligenza Artificiale Generale, usando una terminologia perfino un tantino goffa. Ciò che però abbiamo sono dei LLM Trasformer, cioè più o meno dei modelli linguistici di grandi dimensioni trasformativi e loro derivazioni. Ora, è solo una mia personale opinione, per quanto sempre più diffusa, che sia molto molto improbabile che semplici miglioramenti incrementali degli LLM portino a un’intelligenza di livello umano, anche impiegando grandi risorse computazionali. Magari questi modelli potrebbero continuare a contribuire come parti di sistemi più ampi che mireranno a un’AGI. Questi modelli al momento hanno assunto il ruolo di elementi fondamentali della crescita dell’infosfera, ma soprattutto sono da prendere a modello, data la loro grande attualità, per delineare l’evoluzione e le problematiche connesse alla crescita ulteriore dell’infosfera nei suoi aspetti tecnologici e quale potenziale gabbia per l’umanità.

Infatti mi sembra abbastanza pacifico che non avremo presto una AGI che potrà dominare il mondo. Chi sostiene questo sembra lo faccia per puri scopi propagandistici o forse con motivazioni ancor più inconfessabili. È notizia di questi giorni che Elon Musk stia, pare costruendo una mega server farm xAI, che inizierà con 100.000 GPU per poi salire fino a 200.000. D’altra parte opeAI e Microsoft insieme parlano di datacenter a venire riempiti da MILIONI di gpu. Una potenza di calcolo che mi suscita il ricordo di un vecchio racconto di fantascienza, non so più scritto da chi, in cui l’infosfera, la somma di tutta la conoscenza umana raggiunge una massa tale da collassare in una singolarità.

Ora, come questi giganti rischino di avere i piedi d’argilla e come questi giganti finanziari rischino di bruciare enormi quantità di soldi e di energia in un progetto che potrebbe portare solo a una serie di potentissimi ed enormi idioti sapienti tecnologici lo spiegherò altrove.

Qui non faccio altro che accennare al fatto che enormi entità a tal livello di fabbisogno energetico e manutentivo, anche se diventassero davvero delle intelligenze divine, potranno sempre essere fermate con un robusto paio di cesoie.

In più, come accennavo sopra, questo approccio muscolare all’intelligenza potrebbe semplicemente rivelarsi una chimera. Quello che però io credo questa gente stia cercando di fare è riesumare progetti visionari fino a poco tempo fa, oggi morenti sotto il peso dei fallimenti tecnologici come, per dire, quello delle macchine a guida autonoma.

Comunque staremo a vedere: se riusciranno a trovare l’energia sufficiente e le autorità dei luoghi dove si trovano non decideranno che quel che è troppo è troppo, magari sotto il prossimo albero di natale troveremo la AGI in tutta la sua scintillante bellezza. Sono certo che il primo ad essere fatto fuori da una simile superentità sarà proprio pazzerella Elon.

È più probabile che anche con una tale potenza di calcolo ,comunque, la grande macchina non possa riuscire a surclassare il chilo e mezzo scarso di materia umidiccia alimentato a zucchero che ognuno di noi si porta dietro; ciò però non toglie che un simile apparato possa diventare potenzialmente una grande minaccia alla libertà di questi grumi di materia grigia.

Ma torniamo a un argomento un po’ più concreto. L’aspetto dell’IA, come quello delle piattaforme social, come le infrastrutture che usiamo per comunicare e per far funzionare tutto questo, presentano un problema enorme.

Qualcuno, tra quelli che non si aspettano l’imminente apocalisse SkyNet, potrebbe pensare che il maggior problema sia che tutte queste tecnologie sono da una parte a trazione americana, dall’altra cinese. È certo un problema gli europei dovrebbero iniziare a porsi, ma è anche un fatto, e non credo che in prospettiva, almeno per il momento, ci si possa fare molto.

La nostra parte di mondo ha almeno la fortuna che questi apparati sono accentrati da un paese che, con  tutti i suoi difetti, è il centro dell’impero di cui facciamo parte, certo, ma che è retto da istituzione che ancora tentano di difendere libertà personali, di opinione e, per il nostro discorso non secondariamente, d’impresa, ma che soprattutto non può fare a meno dei cervelli, dunque delle sensibilità, di importazione dalle estreme propaggini dell’impero, come quella in cui viviamo noi.

No, il vero problema sullo stato attuale della nostra sempre più enorme infosfera, del suo lato tecnologico e cibernetico, è che tutto questo è concentrato in mano a grandi corporation, nei casi particolari di Musk e Zuckherberg, addirittura affidate alle mani di una personalità instabile e di un perfetto idiota. Chi sia chi lo lascio a voi.

Quello che è successo e sta succedendo a Twitter è emblematico e non semplicemente come caso scuola, ma come vera emergenza democratica. Ma prima di tutto è importante chiederci: cosa è Twitter per il mondo umano? Quale è il suo ruolo nelle dinamiche dell’infosfera?

Twitter, piaccia o meno, rappresenta il cardine della comunicazione “informata” di gran parte della nostra specie. Attraverso Twitter circolano le informazioni su ciò che accade dall’altra parte del pianeta, i giornalisti interagiscono con le fonti, le personalità influenti fanno circolare le loro opinioni e, in definitiva, i filamenti che costituiscono un importante tessuto connettivo tra le menti umane si intrecciano in modi mutevoli.

In questo segmento del ciberspazio circola di tutto e trovi di tutto, dalle informazioni più preziose al pattume più osceno, ma un fatto è certo: Twitter ha rappresentato un’infrastruttura fondamentale per molti anni nei processi democratici e ancora oggi è insostituibile.

Lo dimostra il fatto che nonostante la sua conquista da parte di una personalità fuori controllo, che ha inteso asservire questo strumento collettivo al suo strabordante egotismo, l’attesa fuga di utenti non c’è stata. Questo sta succedendo perché come un tempo non si poteva fare a meno di giornali e televisioni per avere una voce e per procurarsi informazioni, oggi non si può avere una voce e rimanere in contatto con la realtà del mondo senza essere su Twitter. Chi non se ne rende conto è cieco a un fenomeno ormai vecchio di quasi vent’anni: molta parte dell’informazione mal digerita che recuperate dai giornali proviene da un pugno di fonti, alcune giornalistiche altre social. Ma tutte queste fonti sono collegate e articolate intorno a Twitter.

Questo era stato fino a poco tempo fa un grande miglioramento per il contesto democratico, uno strumento irrinunciabile persino per chi voleva combattere i regimi autoritari a casa propria, oggi subisce un processo di disgregazione e un attentato alla sua neutralità che ci deve preoccupare.

Ma è anche vero che ciò che è accaduto e sta accadendo a Twitter, trasformato nel parco giochi di una personalità che necessita qualche limite pedagogico, ci dà anche l’occasione per indagare su  come possiamo reagire al predominio delle corporazioni sui mezzi di informazione moderni.

Questa esperienza ci può anche aiutare a sfuggire ai rischi futuri connessi all’Intelligenza Artificiale. Rischi che non hanno niente a che fare con una ipotetica e remota minaccia alla Matrix o alla Terminator, come li chiamo con mio figlio, film che hanno fatto la storia del cinema senza un buon motivo, ma la assai più concreta capacità di controllo dell’opinione e della libertà da più o meno scompensati attori privati o, come nel caso della Cina e dell’Iran, da parte di osceni regimi.

Come sempre, piaccia o non piaccia, gli USA in questo sono antesignani. Nasce alla fine dell’800 in America la prima legge volta a impedire eccessive concentrazioni economiche e a limitare il potere di conglomerati che erano, a ben guardare, assai più influenti e potenti delle Big Tech attuali. La legge, varata nel 1890, si chiamava “Sherman Antitrust Act”, dal nome del senatore repubblicano che ne fu l’estensore, è tutt’oggi in vigore e ha colpito, negli ultimi vent’anni sia Microsoft sia Google.

Ma è pure vero che il Telecommunications Act del 1996, firmato da Bill Clinton, ha consentito la nascita di nuovi monopoli che stanno strangolando il pluralismo negli USA; ciò che accade da questa parte è, per quanto pallido, un riflesso di ciò che avviene di là.

Quindi quale è lo stato delle cose, nella guerra non troppo silenziosa per il dominio dell’infosfera?

Da una parte abbiamo concentrazioni irragionevoli di potere mediatico, che consentono a enormi corporazioni di controllare i mezzi di comunicazione del pianeta e a pochi individui di controllare quelle corporazioni. Dall’altra il regime Cinese che sta costruendo una costellazione analoga non tanto con lo scopo del profitto, ma con la chiara intenzione di controllare ogni passo e ogni pensiero dei cittadini, cinesi oggi, domani congolesi, birmani o iraniani.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a una potenziale deriva, grazie a tecnologie sempre più invasive, in cui l’individuo non avrà neanche più quella modesta protezione istituzionale e politica che oggi gli rimane.

Ma, c’è chi mi chiede, quale è la terza via, quale è l’alternativa a queste due strade rivolte verso un futuro distopico?

Il passato ce lo insegna e ce lo dice. Devono sorgere nuove leggi che spezzino il monopolio, non attraverso la disgregazione o la statalizzazione di queste corporation, il che ci spingerebbe vero l’orrendo modello cinese di controllo di stato, ma tramite la sottrazione del controllo di queste società multinazionali dalle mani di pochi o, addirittura, di uno.

È già stato fatto, prima con i conglomerati industriali, poi con l’energia, poi con le telecomunicazioni prima maniera e poi con le estreme concentrazioni radio-televisive. Oggi è urgente che USA e UE si dotino di strumenti che mirino proprio a spezzare il controllo di pochi su questi, che sono per sé dei patrimoni collettivi. Lo strumento per fare ciò sono le public company, all’americana, società ad azionariato diffuso all’italiana, con delle stringenti regole che impediscano il controllo da parte di pochi, ma che debbano tenere conto dei propri azionisti. È una forma di democrazia privatistica che in passato, con regole chiare ha dimostrato di funzionare.

In tal modo volendo essere padroni, per quanto marginalmente. di una fetta di queste realtà che permeano le nostre vite non dovremo fare altro che comprare un pugno di azioni.

Io vedo questa come unica via d’uscita alla trasformazione dell’infosfera in una prigione, con sbarre di controllo automatizzato dell’individuo, ma so quanto è facile che così tanti denari facciano pensare ai tycoon che la cosa più semplice sia comprarsi il politico di turno. Lo vediamo nella coppia tragicamente macchiettistica Trump+Musk.

Per questo, per obbligare i nostri corpi legislativi, prima di tutto quello americano, a varare norme in tal senso è necessario un vasto movimento di opinione e di resistenza, per superare in peso e in gravità quello del quattrino, con la massa della perdita di consenso.

E anche se la base di queste compagnie è negli USA, il che potrebbe portarci a pensare che da questa parte dell’oceano possiamo fare poco o niente, l’Europa Unita è un mercato enorme per queste società e con le giuste leve normative si può esercitare un enorme pressione su di esse, per quanto “a distanza”. Lo si è visto nella disciplina innovativa sulla privacy di cui ci siamo dotati, che ha fatto da riferimento globale alla regolamentazione di questo altro aspetto dell’infosfera.

Infine, parafrasando Voltaire, dovremo davvero iniziare a coltivare la nostra infosfera con un po’ più d’amore e attenzione.

Un saluto.

Fonti:

Luciano Floridi, Etica dell’intelligenza artificiale: Sviluppi, opportunità, sfide, amzn.to/3Z9wxcc

Luciano Floridi, Etica nell’infosfera, uhra.herts.ac.uk/bitstream/handle/2299/1834/902043.pdf e (versione integrale) dx.doi.org/10.5840/tpm20011647

Infosphere en.wikipedia.org/wiki/Infosphere

Infosfera www.treccani.it/vocabolario/infosfera_(Neologismi)/

Roberto Finelli, Filosofia e tecnologia. Una via di uscita dalla mente digitale: amzn.to/47h78zi

Ben Goertzel, Generative AI vs. AGI: The Cognitive Strengths and Weaknesses of Modern LLMs: doi.org/10.48550/arXiv.2309.10371

Elon Musk fires up ‘the most powerful AI cluster in the world’ to create the ‘world’s most powerful AI’ by December — system uses 100,000 Nvidia H100 GPUs on a single fabric: www.tomshardware.com/pc-components/gpus/elon-musk-fires-up-the-most-powerful-ai-training-cluster-in-the-world-uses-100000-nvidia-h100-gpus-on-a-single-fabric

Elon Musk powers new ‘World’s Fastest AI Data Center” with gargantuan portable power generators to sidestep electricity supply constraints: www.tomshardware.com/tech-industry/artificial-intelligence/elon-musks-new-worlds-fastest-ai-data-center-is-powered-by-massive-portable-power-generators-to-sidestep-electricity-supply-constraints

Elon contro tutti: il datacenter che fa tremare Silicon Valley: www.futuroprossimo.it/2024/09/elon-contro-tutti-il-datacenter-che-fa-tremare-silicon-valley/

Sherman Antitrust Act: en.wikipedia.org/wiki/Sherman_Antitrust_Act

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