Contro Faggin: viaggio nel misticismo travestito da scientismo e negli abusi del principio di autorità
(brogliaccio del video: www.youtube.com/watch?v=rkGVISbCcVQ)
Premessa
Ciao! Oggi parliamo di Federico Faggin. Sapete di chi è? Faggin: padre del primo microprocessore commerciale e, in generale, un protagonista indiscusso della storia della tecnologia del XX secolo.
Un grande italiano, dunque. Ecco, il problema però è che adesso questo nostro tecno-visionario si è ritirato dalla scena tech e si è ripromesso di riscrivere le leggi dell’universo e della realtà tutta a colpi di rivelazioni mistiche. In questo video analizzeremo la sua trasformazione da scienziato a guru, la sua teoria della coscienza, la confusione tra fisica e fede, e l’irresponsabile utilizzo di un preteso principio di autorità malinteso. Insomma, cercheremo di capire dove finisce la scienza e dove inizia… che ne so, la teologia, la fantascienza, il culto della personalità.
E allora, intanto che voi vi iscrivete, mettete like e condividete con gli amici, ecco la… SIGLA!
1. Federico Faggin: chi è stato, chi è
Dicevamo, Federico Faggin, Vicenza, classe 1941. Dopo la laurea in fisica all’Università di Padova, si trasferisce negli Stati Uniti. È la fine degli anni ’60. Qui entra alla leggendaria Fairchild Semiconductor e, successivamente, alla neonata Intel, dove diventa la guida del team che svilupperà il primo microprocessore della storia: l’Intel 4004. È uno di quei pochi casi in cui l’aggettivo “rivoluzionario” non è un’iperbole: è la rivoluzione del computer di larga commercializzazione.
Dopo Intel, Faggin fonda la Zilog, dove dà vita al celebre Z80, uno dei chip più longevi e diffusi di sempre. In seguito, sarà co-fondatore di Synaptics, pioniera nei touchpad e nei touchscreen. Nel 2010, riceve la Medaglia Nazionale per la Tecnologia dal presidente americano Obama. Insomma, non stiamo parlando di uno a caso.
Faggin ha ricevuto numerosi altri riconoscimenti internazionali e italiani, tra cui il titolo di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana. La sua carriera è un esempio paradigmatico del successo dell’ingegno italiano nella Silicon Valley, non c’è dubbio.
Purtroppo però, sul finire di questa “luminosa” carriera arriva una svolta radicale e inaspettata, che sconvolge la sua vita professionale e intellettuale negli anni ’90 e, diciamocelo, scuote la stima di molti suoi ammiratori. Sicuramente scuote la mia.
Quando ormai avrebbe potuto – come in molti tra noi si sarebbero augurati che facesse – avrebbe potuto dicevo, ritirarsi serenamente e godersi in santa pace la fama già maturata e i suoi molti dividendi, Faggin prende una strada molto diversa e direi, almeno per me, del tutto inaspettata: lascia l’industria tecnologica e si dedica allo studio della coscienza.
Crea una fondazione insieme alla moglie: la “Federico and Elvia Faggin Foundation”, con sede in California, e il cui obiettivo è di finanziare studi “scientifici” sulla coscienza, partendo da un presupposto curiosamente poco scientifico, infalsificabile: che la coscienza non emerga dalla materia, bensì la preceda.
Ma insomma, molti tra voi penseranno che una svolta del genere non è poi così sorprendente. In fondo molti scienziati si interessano agli enigmi della mente e della coscienza e cambiano settore in una seconda e tardiva fase della loro vita, cedendo alle lusinghe di una serena e intima attività filosofica. Basti pensare, per esempio, al premio nobel Roger Penrose e alle sue altrettanto curiose teorie quantistiche sul cervello. Attenzione però! Non voglio certo mettere sullo stesso piano la stravagante ma potenzialmente scientifica, perché potenzialmente falsificabile, teoria dei microtuboli di Penrose, con le assurde elucubrazioni di Faggin, sia chiaro.
Comunque, questa svolta esistenziale fagginiana potrebbe non essere così sorprendente, in definitiva, se non fosse che il nostro tecno-guru non si limita a proporre una nuova, ennesima teoria della coscienza, ma inizia bensì a fondare una vera e propria cosmologia e cosmogonia spirituale, basata su una singola esperienza mistica personale e su una reinterpretazione assolutamente fantasiosa della fisica quantistica.
Da lì in poi, la sua figura si sdoppia: da una parte il passato, l’inventore, il pragmatico, il genio del silicio; dall’altra, il presente e il futuro, il profeta del “campo cosciente universale”, che oggi fa proselitismo dai palchi dei festival della scienza di mezzo mondo.
2. L’illuminazione a Tahoe: il Risveglio
Torniamo però all’origine della svolta mistica di Faggin. Nel 1990, come racconta lui stesso in “Silicio”, e cito: «mentre ero con la mia famiglia al lago Tahoe […] mi svegliai verso mezzanotte per bere un bicchiere d’acqua. Quando tornai a letto, mentre aspettavo in silenzio di addormentarmi di nuovo, sentii emanare dal mio petto una potente carica di energia-amore mai provata prima. Questo sentimento era chiaramente amore, ma un amore così intenso e così incredibilmente appagante che superava qualsiasi mia idea ed esperienza sulla natura dell’amore. Lo percepivo come un ampio fascio di luce bianca, scintillante, viva e beatifica che prorompeva dal mio cuore con incredibile forza. Ancora più incredibile era sperimentare che la sorgente di quell’amore ero io! Improvvisamente quella luce esplose, e riempì l’intera stanza per poi espandersi ad abbracciare l’intero universo con lo stesso bianco splendore. Allora seppi senza ombra di dubbio che questa era la “sostanza” di cui tutto ciò che esiste è fatto. Era ciò che ha creato l’universo partendo da sé stessa. Con enorme sorpresa riconobbi che quella luce ero io!
Fine citazione. Lascio a voi l’onere di contare le occorrenze della parola amore in questo paragrafo.
Messianico, ragazzi! Davvero messianico!
E insomma una potente energia, una luce bianca, l’ amore puro, infinito, e soprattutto, roba proveniente da lui stesso, dal suo stesso cuore…
Quella luce esplode, si espande, abbraccia l’universo. In un istante, Faggin “sa” per pura rivelazione che tutto ciò che esiste è fatto di quella luce, di quell’amore, e che quella sostanza non è solo la fonte di ogni cosa, ma è anche ciò che egli è in essenza. Il confine tra osservatore e osservato sparisce. È l’unione mistica, l’esperienza estatica suprema.
Ricorda un po’ l’idea del samadhi, uno stato di coscienza profonda nella tradizione spirituale indiana, tra induismo e buddismo, in cui il sé individuale si fonde con la totalità dell’essere, spesso descritto come un’estasi senza oggetto e senza dualità. Un samadhi in salsa veneto-californiana. E anche senza grappa, sembrerebbe!
Ora, non sarò io a voler negare a qualcuno la sua propria epifania. Men che meno proprio al grande Federico Faggin. Il problema nasce quando una persona della sua influenza decide di fondare su questa esperienza un’intera teoria ontologica della realtà, e magari di giustificarla invocando i principi della fisica quantistica, partendo dal solo e unico fatto di essere una personalità di una certa autorevolezza.
Da questa epifania parte infatti la costruzione di un vero e proprio sistema cosmologico con tanto di vocabolario: L’Uno, la Seity, lo Spazio-C, lo Spazio-I, il campo semantico… così via.
E con il lessico, arriva una missione: rivoluzionare la scienza e, cosa che non guasta, comunicare all’universo mondo la lieta novella che – finalmente – abbiamo le RISPOSTE! Vere, inequivocabili, incontrovertibili, al di là di ogni possibile falsificabilità.
Ricorda qualcosa?
3. Uno, Seity e quanti mistici
Come accennavo, da quell’esperienza mistica, Faggin fa derivare una complessa visione cosmologica e cosmogonica, anzi cosmoteologica, che prende liberamente a prestito linguaggi e generiche suggestioni dalla fisica quantistica, dalla filosofia della mente e da una spiritualità con dei forti tratti new age e generici collegamenti con filosofie mistiche, soprattutto orientali, per proporre quella cheè una vera e propria teologia, in cui tutto ciò che esiste nasce da un’unica entità fondamentale: l’Uno. E le sue manifestazioni, l’articolazione dell’Uno nel reale, le seity.
Tutto ciò, ribadiamolo, si fonda su un’esperienza soggettiva ed esclusiva – la rivelazione personale vissuta da Faggin – al quale dobbiamo credere sulla base del suo ruolo di ‘illuminato’. Nessuna dimostrazione, nessuna argomentazione condivisibile o metodo intersoggettivo: solo la fede nel testimone. In questo, c’è ben poco di laicale. Anzi, il modello assomiglia in modo inquietante a quello di una rivelazione carismatica: l’Uno si è rivelato a un eletto, e ora questo eletto ci annuncia la struttura ultima della realtà. Le religioni sono nate tutte così.
E parlando delle religioni “tradizionali” dice: “Ciascuna di loro si definisce come l’unica vera religione. Ritengo invece che, proprio come c’è una sola scienza, ci dev’essere anche una sola spiritualità universale“.
Che è la sua. Altro che superamento della religione dogmatica.
Cito: «Dio non ha bisogno di “intervenire” nell’universo, aprendo un sepolcro e risuscitando un cadavere dalla tomba, poiché Dio è già a casa sua nel mondo. Dio dimora nel cosmo […] attraverso il logos, che è la matrice (dal lat. Matrix, “madre”, “utero”) di tutte le cose.»
E ancora: «Scienza e spiritualità sono entrambe irriducibili, sono facce della stessa medaglia».
Vediamo meglio come si articola questa “realtà” spirituale ma fisica in salsa Faggin, su!
Innanzitutto nella realtà fagginiana la coscienza è la base e l’essenza e questo è chiaro.
CI dice, e cito:
«La fisica si limita allo studio esclusivo della realtà oggettiva, con il presupposto diffuso che la soggettività sia un epifenomeno. Nousym permette alla scienza di andare oltre i limiti autoimposti dal bisogno di oggettività, bisogno che non riconosce che la natura della realtà è invece sia oggettiva sia soggettiva.»
(Oltre l’invisibile). Fine citazione
Ecco, qui è uscito fuori un nuovo termine. Nousym! Nousym è un neologismo coniato da Federico Faggin e indica la disciplina che dovrebbe unificare scienza e spiritualità in un unico paradigma epistemologico. Il termine deriva dalla fusione di Nous, l’intelletto superiore, la mente divina, o la coscienza nel senso più elevato, nella tradizione platonica, neoplatonica e anche cristiana e “Sym”, come abbreviazione di “sintesi” o “simmetria”, ma anche come riferimento all’unione armonica tra dimensioni tradizionalmente separate.
Nousym è, se capisco bene, una disciplina unificata in grado di spiegare insieme scienza e spiritualità, e di portare la conoscenza umana a un nuovo livello di comprensione della realtà e che si fonda sull’assunto che la realtà sia composta di coscienza e informazione significativa, e che l’esperienza soggettiva abbia dignità epistemica quanto quella oggettiva.
La Nousym è quindi una specie di upgrade mistico del metodo scientifico, un’estensione della scienza che includa anche l’esperienza soggettiva come fonte di conoscenza legittima, accanto all’osservazione oggettiva. Intende superare i limiti della scienza tradizionale, che Faggin accusa di essere “riduzionista” e “materialista” – come se fossero cose brutte – per creare un nuovo paradigma che integri l’interiorità, la coscienza, il significato e questa forma di teologia
In questa prospettiva il rifiuto della coscienza come realtà primaria è un atto ideologico, non scientifico perché la coscienza non è un epifenomeno della materia, ma una realtà primaria, irriducibile a processi fisici o computazionali.
E qui hanno un ruolo importante i qualia, cioè le esperienze soggettive come definite da Thomas Nagel, in “What Is It Like to Be a Bat?” “Com’è essere un pipistrello” e riprese da David Chalmers, che ha reso centrale il concetto nella filosofia della mente contemporanea, esistono realmente e non possono essere ridotti a simboli o informazioni codificate. Faggin dice, e cito: “I qualia non sono né teoremi né algoritmi: sono i portatori di significato. La coscienza infatti va oltre gli algoritmi, perché essa ci permette anche di sapere che sappiamo e di sapere che non sappiamo.”
La coscienza è poi vista come assolutamente privata e non clonabile, il che, in una visione della coscienza come entità quantistica, rifletterebbe effettivamente la natura dello stato quantistico. Per queste caratteristiche, condivise con i sistemi quantistici, la coscienza è inaccessibile all’esterno, e questo la distingue da ogni simulazione artificiale pensabile.
L’universo non è inoltre fatto di materia, ma di esperienza cosciente. La realtà non è dunque fatta di particelle o onde o quanti, ma di coscienza e significato.
Cito «La materia è una creazione dei campi, e rimane tale per il volere dei campi stessi. Quindi, in questo senso, la materia non esiste per conto proprio, ma per il volere collettivo dei suoi creatori, le seity.» (Oltre l’invisibile). Fine citazione.
La materia è il modo in cui la coscienza (la seity) vive l’esperienza nel mondo fisico, attraverso i sensi e il corpo.
E basta, insomma. La coscienza è tutto quanto e questo basti a tutti.
Ed ecco quindi l’Uno, il campo cosciente originario, un’entità assoluta e non divisibile, descritta come dinamica, olistica, in costante evoluzione e desiderosa di conoscersi. E come fa l’Uno a conoscere se stesso?
Suddividendosi – o forse si potrebbe dire manifestandosi – in miriadi di entità coscienti individuali, le cosiddette “seity”. Ogni seity è una specie di monade quantistica dotata di coscienza, libero arbitrio e capacità creativa.
Il corpo umano è visto come un veicolo temporaneo, un’interfaccia attraverso cui la seity può fare esperienza e apprendere. Il cervello, in questa cornice, è un elaboratore quantistico simbolico, incapace da solo di generare coscienza.
Questa cosmologia implica una vera e propria antropogonia mistica, con, mi pare, forti analogie con la teologia neoplatonica e il monismo panteista. La seity non è creata da Dio, ma è parte costitutiva dell’Uno. Non c’è un creatore separato, ma una molteplicità di agenti coscienti che evolvono e interagiscono.
La morte del corpo, in questa visione, non è la fine: è la reintegrazione della seity nell’Uno o il suo passaggio a nuove forme esperienziali. In questa visione, la coscienza personale non si dissolve, ma evolve: la seity mantiene una continuità identitaria anche oltre la morte del corpo, pur riconfigurandosi in nuove forme esperienziali. Gli affetti umani, se vissuti come esperienze profonde e significative, contribuiscono alla crescita della seity e lasciano una traccia semantica permanente nello spazio-C, lo spazio della coscienza. Essi non sono perduti, ma trascesi: diventano parte del patrimonio conoscitivo dell’Uno. E gli animali? Faggin non esclude che anche essi possiedano una forma di seity, anche se meno complessa e sviluppata rispetto a quella umana.
Ogni creatura senziente, secondo questa teoria, è un frammento dell’Uno in cammino verso una maggiore consapevolezza, e dunque parte integrante del grande processo evolutivo della coscienza universale.
È in questo contesto che emerge la distinzione fra spazio fisico (Spazio-F), spazio simbolico (Spazio-I) e spazio semantico (Spazio-C), un trittico quasi trinitario che funge da struttura ontologica dell’universo.
Come spiega Faggin stesso, sempre in Resurrezione, cito: «
- Lo spazio-C è lo spazio semantico soggettivo della coscienza. È uno spazio e un tempo esperienziale extra-fisico […] che contiene il mondo interiore di tutti gli enti coscienti. […]
- Lo spazio-i è lo spazio-tempo simbolico oggettivo che contiene l’informazione viva in cui una parte del significato è stata tradotta dalle seity per essere comunicata simbolicamente alle altre seity. […]
- Lo spazio-f è il mondo fisico sperimentato nella coscienza della seity che crede di essere l’organismo vivente in cui è “incarnata”. La natura dello spazio-F dipende quindi in maniera cruciale dalla specie di organismo vivente e dai qualia della seity. […]
» Fine citazione.
Quello che Faggin propugna è un intero sistema cosmico-spirituale in cui la coscienza è il fondamento, l’informazione è veicolo e l’universo è un processo conoscitivo partecipato.
Tutto questo non è altro che bieco idealismo, diciamocelo!
Non mi soffermerò qui a discutere sulla questione della realtà o valore ontologico dell’informazione, a cui ho previsto di dedicare molta attenzione nel prossimo futuro. Mi limito a osservare che Faggin cavalca senza riserve una dubbia tendenza della fisica contemporanea: quella di dare per accertata la realtà fisica o, nel suo caso forse metafisica, non so e non fa differenza… realtà, dicevo, dell’informazione, senza che a suffragio di questa idea pregiudiziale siano per adesso sorte delle evidenze sperimentali incontrovertibili.
A questo punto non posso non far notare che Federico Faggin affronta anche esplicitamente la questione della falsificabilità della sua teoria della coscienza basata sulla seity, non potendo mancare di questo tocco di classe, dovendo comunque costruire una cosmoteologia pseudoscientifica da par suo. D’altra parte ogni proposta autenticamente pseudo-scientifica deve offrire — almeno in linea di principio — dei criteri di verificabilità o confutabilità. Ma dunque c’è davvero uno spiraglio di testabilità e falsificabilità in ciò che sostiene Faggin, al di là delle sue affermazioni? Perché questo cambierebbe tutto, no?
Va chiarito subito un punto fondamentale: la teoria della seity è di natura metafisica, ma Faggin ha bisogno, culturalmente, anzi ha psicologicamente bisogno, di ancorarla alla fisica quantistica dell’informazione per renderla almeno potenzialmente testabile.
Quindi Faggin sostiene che la sua visione sia compatibile con una scienza ma, attenzione, con una scienza allargata, in cui non solo ciò che è misurabile esternamente, terza persona, ma anche ciò che è esperito soggettivamente, prima persona, ha dignità epistemica e ontologica.
Epperò, egli ci dice, non si può dimostrare direttamente l’esistenza delle seity, proprio perché le seity, come stati puri quantistici privati, non sono accessibile dall’esterno, sono per definizione irriducibili e non osservabili oggettivamente. Ciò viene con la dimostrata non clonabilità di uno stato quantistico, che ora qui non approfondiremo.
La falsificabilità va allora furbescamente cercata altrove. Dove? Curiosamente nei limiti delle macchine, nei comportamenti, e nelle previsioni sperimentali indirette derivanti dal fatto che lui sostiene che le macchine non posso essere coscienti.
Dunque, Faggin ci dice che la prova che la sua teoria è falsa sarebbe l’emergere di una macchina cosciente dunque, e qui il sillogismo si rompe ma continua a funzionare per lui e per i suoi adepti, non esistendo macchine coscienti per ora la sua teoria è non falsificata. Confusione mentale a parte, è ovvio che questa sia una condizione molto comoda. Più che un principio di falsificabilità vedo qui una profezia e, per parafrasare il titolo di un libro che contrariamente a quelli di Faggin, consiglio a tutti, sappiamo bene cosa accadrebbe se presto o tardi tale profezia “non si avverasse”. Troverebbero qualche scusa per correggere la teoria.
Oh! Dato che sono state tirate dentro le macchine e la loro impossibilità di diventare coscienti esploriamo un momento la cosa.
Secondo Faggin, le macchine non possono essere coscienti perché non possiedono una seity, cioè, come dicevamo, una coscienza individuale irriducibile che sia manifestazione dell’Uno. O, forse sarebbe più esatto dire, non possono essere usate come drone dalle seity. Abbiamo già detto che la coscienza, nella sua visione, non è il risultato di un processo computazionale, ma è una qualità ontologica primaria che esiste solo laddove ci sia esperienza soggettiva reale.
Una macchina può simulare un comportamento cosciente, ma non può mai essere cosciente. Può riprodurre simboli, ma non può accedere al significato. Il significato nasce dall’esperienza vissuta, non dall’elaborazione simbolica.
In Oltre l’invisibile, Faggin si chiede e si risponde: «Anche le macchine potrebbero un giorno provare emozioni? Secondo la teoria QIP ciò non sarà mai possibile. Le emozioni sono esperienze, non simboli.»
Qui è venuto fuori un acronimo che, mi pare, finora non si era presentato. QIP significa “Quantum Information Processing”, una nuova teoria della realtà in cui la coscienza, l’informazione significativa e la volontà sono fondamentali. Non approfondisco oltre, perché ancora ne ho da dire troppe.
Il punto chiave è che, per Faggin, la coscienza non è una funzione emergente della complessità, ma una proprietà ontologica originaria, che non può essere prodotta né emulata da sistemi artificiali. Ogni macchina, per quanto sofisticata, resterà sempre priva di qualia, di intenzionalità autentica e di libero arbitrio, perché le mancherà quel nucleo irriducibile di soggettività che è la seity.
E si ritorna al discorso della falsificazione possibile ma non probabile, quindi.
E poi? Non vi basta? Ok. L’avete voluto voi: in questa mistica cucina di idee tagliate grosse, non ci facciamo mancare nemmeno una concezione evolutiva di questa cosmoteologia: le seity, apprendendo e comunicando tra loro, tramite un’informazione che ha un suo proprio piano di realtà, co-creano l’universo e le sue leggi. Le leggi della fisica quindi non sarebbero date una volta per tutte, ma evolverebbero nel tempo insieme alla coscienza collettiva che di fatto le crea dell’universo e alla conoscenza crescente che l’Uno ha di se stesso.
Tutto questo evolversi del cosmo che definirei organico, naturalmente, come ti sbagli, non avviene per un meccanismo di selezione e competizione, meccanismi che non trovano posto in un simile universo buonista, bensì con una dinamica evolutiva teleologica e finalistica, non certo adattiva.
Insomma conoscere senza adattamento, evolversi senza selezione, tutto è buono perché in definitiva l’Uno è il tutto e quindi passa solo… il tempo, forse?
Non saprei perché anche il tempo è qualcosa di completamente diverso nella cosmologia fagginiana. Il tempo non “scorre” in sé e per sé, ma è vissuto dalle seity, ed è quindi intrinsecamente soggettivo e qualitativo. Non è dunque, sembrerebbe, una dimensione dello spazio come in relatività, né è legato a un fenomeno oggettivo come l’entropia. In più sia lo spazio-C, sia lo spazio-I hanno una loro versione del tempo, il primo esperito, il secondo formale, come nella fisica e nella matematica.
L’universo è, ribadiamolo, il modo con cui l’Uno, che è pure fuori del tempo, evidentemente, cerca di conoscersi, e ogni nostra scelta, ogni nostro atto creativo, è parte di un processo cosmico di autoconoscenza di una “simulazione spazio-temporale” utile all’apprendimento e alla crescita delle seity.
Ma insomma, dirà qualcuno, qual è il problema? Faggin si è messo lì e si è inventato un universo bonario e rassicurante, adatto ad ambientare romanzi lisergici o serie tv a tema fantascentifico-trascendentale. Che male può fare?
Il problema è che questa cosmoteologia porta una maschera da teoria pseudoscientifica, usa il vocabolario della fisica quantistica per costruire una narrazione mistica facendo leva sulla reputazione di colui che vorrebbe venderla al mondo come la lieta novella.
Ma come vedremo, questo è solo parte del problema.
Intermezzo
Mi viene in mente solo adesso, che questa teoria fagginiana pare quasi occhieggiare alla metafisica di Guerre Stellari. Pensate a quando Obi-Wan Kenobi spiega per la prima volta, in un’epoca in cui lo spiegone non era ancora di moda, la natura della Forza, e cito: “The Force is what gives a Jedi his power. It’s an energy field created by all living things. It surrounds us and penetrates us. It binds the galaxy together.” “La Forza è ciò che dà a un Jedi il suo potere. È un campo di energia creato da tutti gli esseri viventi. Ci circonda e ci penetra. Lega insieme la galassia.” Fine citazione.
Chiedo scusa ai fan italici di Star Wars che adesso si risentiranno: ho ritradotto dall’originale, perché le espressioni “possanza” e “tiene unita” mi sono sembrate sempre un po’ goffe e ho colto l’occasione.
Ecco il momento buono per un commento tattico! Scrivete magari “Che la forza sia con Faggin!”.
Ma torniamo a fare i seri, se ci riesce!
4. Fisica quantistica: il prezzemolo della mistica moderna
Se c’è un’area della scienza che si presta a ogni genere di appropriazione “culturale” indebita, è senz’altro la meccanica quantistica. Il motivo è banale: il linguaggio controintuitivo e i fenomeni apparentemente “magici” che la caratterizzano – come la sovrapposizione di stati, l’entanglement, il principio di indeterminazione – soprattutto quando sono presentati su un piano divulgativo a persone del tutto ignare dei risvolti tecnici di questa teoria, lasciano sempre molte domande senza una vera risposta e si prestano facilmente a interpretazioni forzate, dal magico al metafisico.
È un territorio di confine, dove il rigore scientifico deve combattere con l’analogia facile e il salto concettuale arbitrario.
In questo senso, Faggin non è né una novità né un’eccezione. Come altri prima di lui anche lui utilizza concetti della fisica quantistica per sostenere affermazioni sulla coscienza, l’anima, la libertà, la volontà, l’amore cosmico e tutto quanto.
Penso a Fritjof Capra, che negli anni ’70 azzardava parallelismi tra il Tao e i quanti, anche lui fisico, anche lui fulminato da un’illuminazione, se non ricordo male in riva al mare, nel suo caso. L’acqua c’entra sempre. Talete ne sarebbe felice.
Cito dalla prefazione del famoso libro di Capra, appunto “Il Tao della fisica”: «Cinque anni fa ebbi una magnifica esperienza che mi avviò sulla strada che doveva condurmi a scrivere questo libro. In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva all’oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all’improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte a una gigantesca danza cosmica. Essendo un fisico, sapevo che la sabbia, le rocce, l’acqua e l’aria che mi circondavano erano composte da molecole e da atomi in vibrazione, e che questi a loro volta erano costituiti da particelle che interagivano tra loro creando e distruggendo altre particelle. Sapevo anche che l’atmosfera della Terra era continuamente bombardata da una pioggia di «raggi cosmici», particelle di alta energia sottoposte a urti molteplici quando penetrano nell’atmosfera. Tutto questo mi era noto dalle mie ricerche nella fisica delle alte energie, ma fino a quel momento ne avevo avuto esperienza solo attraverso grafici, diagrammi e teorie matematiche. Sedendo su quella spiaggia, le mie esperienze precedenti presero vita; «vidi» scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e si distruggevano particelle con ritmi pulsanti; «vidi» gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia; percepii il suo ritmo e ne «sentii» la musica; e in quel momento seppi che questa era la danza di Śiva, il Dio dei Danzatori adorato dagli Indù.»
Suona familiare? Magari tra una ventina d’anni mi farò venire anch’io un’ispirazione mistica in riva al mare. O magari un ictus, chissà?!
Un po’ tutti questi esploratori della mistica spirituale e quantistica si rifanno agli stessi concetti e alle stesse semplificazioni.
L’entanglement? È la prova che siamo tutti connessi.
L’indeterminazione? È la base del libero arbitrio.
La non-località? È l’evidenza che la realtà è spirituale.
La non clonabilità degli stati quantistici? Abbiamo visto come abbia un ruolo centrale nella natura privata e irriducibile della coscienza.
Purtroppo però, se nella meccanica quantistica questi fenomeni hanno significati matematici precisi e formalizzabili e nella realtà sono fatti sperimentali provati, nelle argomentazioni di Faggin diventano metafore sicuramente suggestive ma decisamente banali e usate forzatamente come espedienti narrativi per saltare dalla scienza alla spiritualità senza passare da nessun metodo.
Il problema non è tanto epistemologico od ontologico, visto che queste “visioni” non aggiungono niente alla nostra conoscenza e all’essenza delle cose, ma piuttosto pedagogico e culturale: presentare questi concetti in forma mistica alimenta la presunzione discepolare di acquisire, attraverso le parole del maestro quantistico di turno, una comprensione della fisica e delle basi della realtà, quando ciò di cui le persone vengono in possesso non è altro che una piatta elencazione di aforismi, metafore e aneddoti privi di ogni valore conoscitivo.
Ed è proprio la totale assenza di rigore nella transizione da linguaggio scientifico a narrazione spirituale, a rendere questo tipo di operazione, se non ideologicamente pericolosa, quantomeno vergognosa quando su di essa si fa pesare una propria malintesa e inesistente autorità. Di questo però parleremo meglio tra breve.
Mi è chiaro, e spero che sia chiaro a tutti voi, che in questo modo si trasmette l’idea non solo sbagliata, ma tremendamente fuorviante che la scienza dica quello che vogliamo sentirci dire, che in essa, attraverso le parole di un guru, possiamo trovare consolazione e rassicurazione, quando invece la scienza è – per sua natura – ciò che ci costringe a correggere e a sconfiggere le nostre illusioni, non certo a confermarle. La scienza è ciò che ci rende davvero liberi.
5. Il principio di autorità non esiste!
E qui torniamo a uno degli aspetti più spinosi dell’intera questione: il principio di autorità, di cui si approfittano proprio figure come Faggin. È un vizio in cui incorrono premi nobel, matematici, filosofi, storici, giornalisti e tanti tanti altri personaggi ben noti che, forti di un titolo, di un seguito o di un passato, fanno pesare oltre il ragionevole le loro opinioni. Vediamo perché questa è una pretesa profondamente sbagliata e completamente antiscientifica.
In ambito scientifico, ma in generale direi in qualsiasi ambito non siano la religione o la metafisica, il principio di autorità banalmente NON ESISTE!
Il principio di autorità equivale al culto della personalità, non alla fiducia provvisoria e ragionata nei confronti di chi ha competenza in uno specifico campo: in questo caso parliamo di autorevolezza, non di autorità.
Abbiamo tristemente sperimentato quanto male possa fare un supposto principio di autorità ai tempi della pandemia da Covid-19.
Il dibattito scientifico nudo può sembrare un po’ una lite da pollaio, soprattutto se viene portato in televisione, perché è nei fatti della scienza che non ci sia accordo finché non si raggiunge un accordo.
È nei fatti che quando si consolida il consenso su una teoria o su un esperimento, nella comunità scientifica, esso sia instabile e temporaneo, lasciando ogni certezza esposta alla falsificazione popperiana. Nondimeno anche Popper sentì il bisogno di introdurre il concetto di corroborazione delle teorie scientifiche. È un concetto meno noto di quello di falsificazione, che rappresenta un po’ la carriera, il curriculum di una teoria scientifica, la sua resistenza all’essere falsificata. Ora, questo processo, il processo di corroborazione e falsificazione di una teoria, è molto complicato e, al di fuori della comunità scientifica, facile ad essere strumentalizzato e deformato da interessi di parte e teorie del complotto.
D’altra parte che questi dibattiti escano dall’alveo della discussione tecnica in casi sempre più numerosi, e coinvolgano la politica e le scelte della collettività e dunque, più che legittimamente, l’opinione pubblica, è non solo giusto, ma vitale per la sopravvivenza della specie.
Proprio per questo i cittadini devono essere messi in guardia da quello che i colti chiamano fallacia dell’”argumentum ad verecundiam” o “ab auctoritate”, cioè fallacia dell’argomento d’autorità, o fallacia dell’argomento della riverenza, della soggezione. Qualcosa che io chiamerei più semplicemente fallacia del principio di autorità, per farci capire da tutti.
Ma chiamatelo come vi pare, questo atteggiamento intellettualmente servile, che è l’estremizzazione di un comportamento dettato altrimenti dal buon senso: dare retta a chi ne sa di più!
Però qui mi sto ingolfando in un argomento che, tanto per cambiare, merita un video a se stante.
Torniamo a Faggin, dato che chi deve capire ha capito.
Ciò che accade con il fenomeno Faggin è una applicazione di questa fallacia: il suo prestigio – assolutamente meritato nel campo dell’ingegneria elettronica – viene trasferito nel dominio della filosofia della mente, della metafisica e della cosmologia con poco o nessuno sforzo argomentativo.
Banalmente, il fatto che Faggin abbia progettato il primo microprocessore non lo rende in nessun modo più autorevole di altri sull’origine della coscienza, sulla struttura dell’universo o sull’ontologia dell’informazione, a meno che non porti argomentazioni e prove valide. Ma insomma ci siamo capiti e io inizio a ripetermi.
Evidentemente questo fatto evidente, in molti ambienti anche supposti colti viene sistematicamente ignorato. Il suo background tecnico viene invocato come garanzia epistemica per giustificare affermazioni che, se provenissero da qualcuno meno “autorevole”, verrebbero accolte con scetticismo se non da crasse risate. È un po’ come il premio Nobel per la chimica che inizia a straparlare dei vaccini in contrasto con le evidenze portate dagli specialisti in virologia. Il suo parere a quel punto vale quanto il mio e quanto il vostro. Quello che conta, lo ripeto e lo ripeterò fino a perdere la voce, non conta niente altro che l’argomentazione o, meglio, la prova. Il resto sono chiacchiere, anche in bocca al più intelligente di noi.
E questa manfrina, questo approfittarsi della propria posizione è particolarmente pericoloso in questa epoca in cui la scienza è già abbondantemente sotto attacco da parte delle pseudoscienze, del complottismo e dell’analfabetismo funzionale, cavalcati da una politica becera e priva di qualsiasi capacità di orientamento dell’opinione pubblica.
Quando una “autorità” riconosciuta si sposta su un terreno extra-disciplinare e comincia a proporre visioni non falsificabili ma rivestite di lessico tecnico, alimenta leggende e misticismi travestiti da epistemologia. E purtroppo, il pubblico spesso non distingue tra “autore di un microprocessore” e “teologo della coscienza quantistica”. Cerchiamo tutti di farlo, invece.
6. La seity come brand spirituale: tra filosofia e proselitismo
E dunque intorno a Faggin si è creato un vero e proprio seguito religioso, che accoglie ogni suo affermazione come un’illuminazione. Si vedono sempre più spesso convegni ispirati al suo pensiero e che danno largo spazio alle sue elucubrazioni.
L’inventore del microprocessore è diventato un “santone laico”, autore di una nuova dottrina mistico-informazionale che si propaga con la forza della rivelazione. La seity, in questo contesto, smette di essere un concetto filosofico e diventa un marchio, un brand spirituale pronto per il mercato delle anime.
Chiedersi perché questa narrazione abbia così tanto successo è quasi ozioso, dato che è un fenomeno che abbiamo visto ripetersi infinite volte, nel mondo e nella storia.
Al solito c’è il carisma e, in questo caso, l’autorevolezza dell’autore. C’è poi il fatto che questa visione mistica ha un fortissimo contenuto consolatorio.
L’idea che la coscienza non finisca con la morte del corpo, che gli affetti persistano in uno spazio semantico eterno, che ogni dolore, ogni relazione, ogni scelta abbiano un senso profondo e inscrivano una traccia nell’universo… tutto questo risponde a un bisogno profondissimo e umano: il bisogno di senso, di continuità, di salvezza. È, in breve, una teologia per tempi tecnologici, una fede ricodificata nel lessico dell’informazione e del quantistico.
E qualcuno di coloro che sono costantemente in cerca di una religione da abbracciare, i modaioli della metafisica, inevitabilmente ammirerà più il messaggio del padre del silicio, piuttosto che la voce stanca, banale e cantilenante di qualche prete.
Chi ha una predisposizione all’irrazionale o al mistico, senza il freno di una educazione al dubbio, chi diffida della scienza “ufficiale” ma cerca comunque una cornice di verità ultima, purché rivestita di parole moderne e suggestive qui trova chiaramente una comoda cuccia.
È una forma di spiritualità post-postmoderna che vuole tutto: il rigore apparente, il mistero, la trascendenza e anche un pizzico di tecnologia futuristica.
La seity e l’Uno, per quanto scimmiottature particolarmente banali di concetti mistici ricorrenti nella tradizione dell’irrazionalismo umano, sono perfetti per tutto questo. Che si smetta dunque di discutere criticamente e si cominci ad adorare: lo dice Faggin.
Adorare chi, non è chiaro. L’illuminato forse?
La forza apparente del suo modello sta nel fatto che tutto sembra tornare, tutto si tiene: le seity imparano, l’universo evolve, l’Uno si conosce, il male è un errore interpretativo, la morte è un passaggio e tutti ritroveremo i nostri cuccioli dopo la nostra dipartita.
Tutto molto comodo e consolatorio, ma impermeabile a qualsiasi critica e basato sul fatto che considerazioni così generiche possono sempre essere spacciate per saggezza e per rivelazione. È proprio questa la caratteristica della frase dei saggio e delle rivelazioni: qualunque affermazione è equivalente e va altrettanto bene della sua contraria, purché parli al nostro bisogno di senso e di rassicurazione.
E in definidiva, chiunque sollevi dubbi viene semplicemente relegato nella categoria di chi ‘non ha capito’ o ‘non ha fatto esperienza’ o dello ‘odiatore’. Ma se solo l’illuminato può validare la visione dell’illuminato il sistema regge certo perfettamente, ma solo a patto di credere ciecamente nella sua premessa iniziale – la rivelazione mistica del fondatore. Questo, per l’appunto, è l’opposto di ciò che intendiamo per pensiero scientifico, per pensiero critico o anche solo per buonsenso.
7. Cosa distingue Faggin da un guru spirituale?
E dunque che cosa distingue Faggin da un qualsiasi altro guru?
Dopo questa lunga cavalcata nel nonsenso, forse potremmo essercelo dimenticato, ma Faggin non è un qualsiasi schizzato profeta del primo secolo. È una figura chiave, anche se effettivamente non così tanto come ce lo vogliono vendere, diciamolo, di una visione tecnologica e scientifica che sta alla base della nostra vita attuale. Vorrei salvare qualcosa, magari anche solo il tempo che mi è costato leggere i suoi libri, ma, purtroppo?, non so se posso.
La verità è che se una persona qualsiasi avesse proposto una visione del mondo basata su rivelazioni interiori non verificabili, utilizzando concetti spirituali vaghi, promuovendo una dottrina sull’origine e il destino dell’essere umano e sulla struttura ultima della realtà, cosa che persone qualsiasi fanno e hanno sempre fatto in continuazione, non avrei fatto niente di più che ignorarlo. Non ho voglia di fare dei video sul reverendo Moon o su altri simili preti truffaldini.
Se non per una sorta di etichetta verso un grande vecchio della tecnologia, con un rilevante curriculum scientifico, cosa altro ci spinge a prenderlo in considerazione e anche solo a controbatterlo: la risposta è il nulla. Niente.
Certo, ancora Faggin non si presenta con vesti bianche, non recita mantra di fronte a folle osannanti, o almeno credo, e non propone corsi di risveglio spirituale a pagamento, almeno spero. Ma propone una visione del mondo senza nessuna base razionale. Si tratta, a tutti gli effetti, di una visione spirituale completa, con struttura teologica, antropologia implicita e cosmologia esplicita. L’unica differenza con religioni settarie vecchie e nuove sta nel linguaggio: non è quello della tradizione religiosa, ma è preso dalla scienza post-digitale. Invece di angeli e paradisi, abbiamo seity e spazi semantici. Invece di Yhv, Dio, Allah, Shiva e compagnia cantante, abbiamo Uno. Uno a caso.
Questo è ciò che rende il fenomeno Faggin culturalmente interessante, ma anche ambiguo: una religione in incognito, che si presenta con l’abito del razionalismo ma si fonda su un’adesione emotiva e su esperienze interiori soggettive, cioè non condivisibili né verificabili. Un pensiero che rifiuta i vincoli del metodo scientifico, ma che cerca disperatamente la sua legittimazione linguistica. È una spiritualità travestita da epistemologia.
Quindi, per il rispetto che mi sento di portare alla sua canizie non voglio alzare i toni e fare delle accuse più specifiche, ma mi limito ad invitare tutti a un sano scetticismo, di fronte alle affermazioni di coloro che accampano, più o meno involontariamente, una qualche “autorità”.
8. Conclusioni: irrazionalità e quando la fisica diventa favola
E qui, andando spero verso la fine vi rivelo una mia terribile sindrome: non riesco a non leggere le opere di pensatori con cui non vorrei mai spezzare il pane, lo confesso! Dugin, Evola, Heidegger o, addirittura, Severino e Agamben mi perseguitano dalla mia libreria, meglio dal mio e-reader e questa malattia dell’anima mi ha portato anche a dover leggere i libri di Faggin, alla ricerca di qualcosa che avesse senso. Non l’ho trovato ma non per questo non vi lascerò i suoi testi tra le fonti. Se non credete a me, credete alle sue stesse parole. Ho resistito a lungo alla tentazione di fare questo video, ma vedo quanto spazio e quanta visibilità viene accordata al Faggin pensiero e dunque oramai non posso più starmene zitto, vedendo come la scienza, tanto per cambiare, fa da zimbello all’ultimo di Bella di passaggio. Tutto questo mi è costato lungo studio e una scrittura che mi ha messo abbastanza in difficoltà, quindi spero che almeno venga fuori un po’ di dibattito, da questa mia invettiva.
Perché il caso Faggin è emblematico, e dunque, forse, anche meritevole di approfondimento, emblematico dicevo di una tendenza culturale sempre più diffusa: l’irrazionalismo generale e di quello che particolarmente si traveste da scienza per attaccare la scienza. Una narrazione in cui il fascino del mistero prende il posto della verifica, e dove si confonde il linguaggio scientifico con quello rivelato.
È un segno tra altri della crisi più profonda del pensiero critico nella nostra epoca e per questo della crisi del sistema democratico. Qualcuno penserà che la cosa sia solo vagamente collegata, ma non è così. La comunità scientifica è e si pasce di democrazia. Non esiste comunità scientifica senza libertà di critica e meccanismo di consenso, non esiste razionalità senza libertà e democrazia politica.
Gli stessi che propagano spazzatura irrazionale e pseudoscienza abbracciano anche filosofie politiche razziste e illiberali e sono, tra l’altro, i più suscettibili alle propagande dei regimi autocratici che questo irrazionalismo foraggiano, sponsorizzano e propagano.
Viviamo un tempo in cui l’ansia esistenziale, la solitudine cognitiva e la perdita di riferimenti trascendenti spingono sempre più persone verso narrazioni totalizzanti, reazionarie e consolatorie. In questo scenario, il “racconto scientifico-spirituale” di Faggin si propone come un’ancora di salvezza: promette che nulla andrà perduto, che la coscienza è eterna, che ogni cosa ha un significato più profondo e invisibile. E lo fa con la patina di una scienza vaga e rimaneggiata, in contrasto con la “scienza ufficiale” e dunque dotata di grande appeal per i complottisti di tutti i colori.
Ma è proprio questo il punto critico e l’ho già detto: quando la scienza viene piegata a scopi consolatori, smette di essere uno strumento di indagine e diventa una nuova teologia. E come ogni teologia, rischia di diventare indiscutibile. Invece di aprire domande, offre risposte definitive. Invece di interrogare il reale, lo sovrascrive con una narrazione predigerita. Il risultato è una spiritualità “scientificamente aromatizzata” che soddisfa bisogni emotivi, ma indebolisce il principio stesso della razionalità sperimentale.
La cosmologia di Faggin appare poetica, edificante, persino commovente. Ma non è altro che l’ennesimo tassello di una lotta contro la modernità e contro la razionalità. È una guerra, quella per la ragione e la laicità che nessuno di noi può permettersi di perdere e dunque, anche una filosofia un po’ beota come quella fagginiana non deve essere lasciata correre in giro nuda come gli pare.
Rimaniamo fermi, rimaniamo laici.
E con questo ho finito la mia troppo lunga filippica e quindi, ricordandovi di mettere like, di condividere, di iscrivervi e SOPRATTUTTO, di commentare, io intanto vi saluto.
Ciao!
Fonti:
- Faggin, Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono: amzn.to/4myRlmG
- Faggin, Irriducibile: La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura: amzn.to/4ku9mki
- Faggin, Silicio. Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza: amzn.to/43LmUCe
- Faggin et alt, Resurrezione. Fisica quantistica, teologia e mistica a confronto: amzn.to/3FooXmE
- T. Nagel, Cosa si prova a essere un pipistrello?: amzn.to/3Z0iKnr
- L. Festinger, H. Riecken, S. Schachter, Quando la profezia non si avvera: amzn.to/4kCUCQ9

