Ambiente,  Politica,  Tecnologia

COME TI SCONFIGGO IL NIMBY

(brogliaccio del video: www.youtube.com/watch?v=1H0VAB9JPh4)

Premessa

Oggi parliamo di un fenomeno che pesa sullo sviluppo di quasi ogni infrastruttura, ostacolando la transizione energetica e complicando qualsiasi intervento che richieda un minimo di pianificazione: il NIMBYsmo, acronimo che vuol dire “Not In My Backyard!” cioè “Non nel mio cortile!”. Sarebbe il cortile posteriore, in realtà, ma non vogliamo essere così maliziosi.

Questo atteggiamento, spesso dettato da mero egoismo o da pretesti dietro i quali si nascondono agende politiche e ideologie pseudoscientifiche, è un problema che grava pesantemente sullo sviluppo dei paesi democratici strumentalizzando le comunità locali, scambiando la tutela di aspetti senz’altro importanti, con la prospettiva di un riscatto economico e di un rilancio produttivo.

Ma non voglio perdermi troppo dietro nell’analisi di questo aspetto sociale della cosa. In questo video mi azzardo a dire che vi proporrò una soluzione pratica e concreta per combattere il nimbysmo e per rilanciare l’economia proprio delle zone più arretrate del nostro paese: la regionalizzazione del prezzo dell’energia. Un meccanismo che potrebbe trasformare le regioni produttrici di energia da aree sfruttate a territori avvantaggiati.

Questo approccio potrebbe rivoluzionare il modo in cui concepiamo la produzione e il consumo di energia in Italia. Non solo eliminerebbe la disparità tra regioni produttrici e regioni consumatrici, ma stimolerebbe anche investimenti mirati che potrebbero portare vantaggi economici a livello locale e nazionale. Per chi desidera capire come tutto questo può funzionare e che impatto potrebbe avere sulla nostra vita quotidiana, invito a mettere mi piace, iscriversi al canale e a seguire il mio ragionamento. E ora… sigla!

SIGLA

Introduzione

L’atteggiamento NIMBY è quella reazione tipica per cui chiunque, pur riconoscendo l’importanza di un’opera pubblica, non la vuole vicino a casa propria. È una reazione comprensibile e chi di noi non ha avuto l’occasione quantomeno di solidarizzare con chi si opponeva all’ecomostro di turno?

È qualcosa che possiamo capire, ma dietro di esso si celano atteggiamenti spesso dettati dalla cosiddetta “tirannia dello statu quo”.  Questo atteggiamento ha effetti paralizzanti su progetti essenziali, come le infrastrutture energetiche, le reti di trasporto e persino l’edilizia popolare. In Inghilterra, ad esempio, si assiste a una feroce opposizione alla costruzione di case popolari.

Il fenomeno NIMBY assume a volte aspetti grotteschi: sempre nel Regno Unito, alcuni gruppi hanno bloccato progetti edilizi sostenendo che minacciassero la sopravvivenza della lingua gallese! In altri casi, si ricorre a pretesti ambientali o storici: c’è chi si oppone all’installazione di pale eoliche per il rischio che alterino il “paesaggio tradizionale”, mentre nel caso delle ferrovie ad alta velocità vengono spesso avanzate obiezioni legate a presunti danni alla fauna locale. Ma quante di queste obbiezioni sono autentiche e quante invece nascondono la semplice volontà di opporsi a certi progetti per pure ragioni ideologiche?

Questo genere di resistenze si traduce spesso in cause legali pretestuose, proteste insensate e rallentamenti burocratici che fanno lievitare i costi e compromettono la realizzazione delle opere necessarie. Il risultato? Ritardi infiniti, investimenti pubblici sprecati e un danno concreto per l’intero paese.

La parte positiva di questa opposizione, cioè l’attenzione e la critica utili perché certi progetti non diventino effettivamente uno scempio del territorio potrebbe essere portata avanti in modi e con atteggimenti altrettanto efficaci, volti a migliorare i progetti necessari e individuare quelli superflui, ma molto meno costosi in termini di tempo e risorse per tutta la collettività del più bieco nimysmo.

E vediamo come i diversi paesi affrontano il NIMBY

Nel mondo si stanno sperimentando diversi approcci per contrastare il fenomeno.

  • Dialogo con le comunità locali: molti paesi democratici, come Francia e Regno Unito, hanno introdotto processi di dibattito pubblico, commissioni di consultazione e incentivi diretti per convincere le popolazioni a supportare i progetti.
  • Normative stringenti e percorsi obbligati: negli USA, in alcuni casi, le decisioni vengono imposte dall’alto, con il governo federale che bypassa le amministrazioni locali in nome della sicurezza energetica o di altre priorità.
  • Metodi coercitivi nelle autocrazie: in paesi come la Cina o la Russia, il concetto stesso di opposizione locale è inesistente. Se un’infrastruttura deve essere costruita, viene costruita, senza alcuna considerazione per le comunità locali. Ne sono evidenti esempi l’immensa diga cinese delle Tre Gole, a

In Europa si oscilla tra la mediazione e l’imposizione, a seconda dell’urgenza del progetto. L’energia è un esempio emblematico: servono nuove infrastrutture per affrontare il cambiamento climatico, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e garantire la sicurezza energetica. Ma senza un sistema efficace per superare l’ostruzionismo locale, ogni iniziativa rischia di rimanere impantanata.

Il caso italiano: un’Italia a due velocità

Se guardiamo all’Italia, scopriamo un sistema profondamente squilibrato, dal punto di vista energetico: alcune regioni producono molta più energia di quanta ne consumino, mentre altre dipendono interamente dall’importazione di energia. Questo crea un paradosso: le regioni meno sviluppate, come Puglia, Basilicata e Sardegna, sono le principali produttrici di energia, ma non ne traggono alcun beneficio diretto. Il loro surplus energetico non deriva da fonti rinnovabili come sole e vento, ma spesso da centrali a carbone e gas, con l’idea sottointesa che al sud si può sporcare impunemente.

Attenzione: un avvertenza per non cadere in qualche fraintendimento: qui parliamo esclusivamente di elettricità. Il bilancio energetico complessivo di una regione, e mi riferisco ovviamente alla Basilicata, non è detto che corrisponda a quanto quella regione contribuisca con le proprie risorse fossili alla produzione, altrove, di energia.

Eccovi alcuni dati ricavati dal rapporto di Terna sulle statistiche regionali. I dati sono del 2022 ma sono sempre attuali, se non sono addirittura peggiorati.

Le regioni sono ordinate in ragione del loro export verso altre regioni italiane.

Vediamo cosa salta all’occhio.

Intanto che importiamo una mostruosa quantità di elettricità. Sarebbe anche poco male se la maggior parte del resto dell’elettricità non derivasse da fonti fossili anch’esse importate. Ma questo è un altro discorso.

Si nota subito la situazione della puglia che cede ad altre regioni una buona metà dell’energia che propduce. Le bollette in puglia sono per questo la metà di, per dire, in Veneto, che ne importa altrettanta? Per niente

Che dire della Calabria. Produce ma poco. Stesso discorso. Il Piemonte esporta verso altre regioni parecchia energia, è vero ma d’altra parte ne importa quasi altrettanta dalla Francia.

La Sardegna produce, tanto da carbone, ed esporta molto ma come dicevo la bolletta Sarda è una delle più care d’Italia.

Insomma il rapporto e questa tabella ve li potete scaricare dai link che lascio in descrizione e divertirvi come mi sono divertito io a vedere tutte le storture del sistema elettrico nazionale, orfano del nucleare.

La proposta: regionalizzare il prezzo dell’energia

E allora io vi dico: e se il prezzo dell’energia fosse differenziato in base alla produzione regionale?

L’idea è semplice: le regioni che producono più energia di quanta ne consumano dovrebbero pagare l’elettricità a un prezzo inferiore. Questo avrebbe tre effetti positivi:

  1. Anti-NIMBY: se i cittadini vedessero un abbassamento della bolletta come compensazione diretta, sarebbero molto più inclini ad accogliere nuovi impianti sul proprio territorio, non solo impianti nucleari che potrebbero scacciare i maledetti a carbone e a nafta pesante, ma anche quelli fotovoltaici. È chiaro che è sempre più efficace fare appello alle tasche di una persona, piuttosto che chiederle di rinunciare a qualcosa, rinuncia vera o immaginaria che sia, “per amor di patria”.
  2. Anti-immobilismo amministrativo: le regioni avrebbero un incentivo concreto a investire nella produzione di energia, rendendo più semplice e conveniente la transizione energetica, perché riceverebbero vantaggi diretti in termini di tasse e di dinamismo economico.
  3. Volano per lo sviluppo: soprattutto, un costo dell’energia più basso non avvantaggia solo i consumi domestici, come le persone, perfino i politici, sembrano spesso pensare ma riguarda in primis le aziende. Un prezzo basso dell’energia attira investimenti industriali e produttivi nelle aree più svantaggiate, generando crescita economica se vi trova strade spianate e costi competitivi.

Questo genere di regionalizzazione funziona già in alcuni paesi, come la Norvegia e la Danimarca,  credo, anche la Spagna. La Danimarca è un caso emblematico: è divisa in due aree e una, la più vicina alla Germania, sconta il caro energia dovuto allo squilibrio energetico tra rinnovabili e altre fonti che la terra dei teutoni oggi soffre, dopo l’assurda scelta di spegnere le centrali nucleari. Non solo la Germania ha così ottenuto le bollette energetiche più alte d’Europa, ma alza i prezzi dell’energia dei vicini, persino degli atomici francesi, dovendone importare grandi quantità. Non un bel modello da seguire, mi pare.

Conclusione

In sintesi, una regionalizzazione del prezzo dell’energia creerebbe un circolo virtuoso: le regioni produttrici avrebbero un vantaggio tangibile, si eliminerebbe il colonialismo energetico e si ridurrebbe la presa dei movimenti NIMBY sulle comunità locali.

Sarebbe una riforma di buon senso, capace di trasformare l’Italia in un paese più efficiente ed equo dal punto di vista energetico ed economico.

Questo renderebbe finalmente anche meno controverso l’accoglimento delle centrali nucleari, visto che è noto che i paesi dove il nucleare c’è i meno contrari sono spesso quelli che vivono vicini alle centrali, che magari si scaldano gratis con il calore residuo della centrale, oltre ad avere una bolletta molto più bassa.

E so che il momento preciso in cui vi coglie l’uscita di questo mio video è proprio uno di quelli le bollette di gas e luce vi stanno strangolando, tanto per cambiare.

Vi lascio raccomandandovi di informarvi meglio sul nucleare e di sostenere convintamente una svolta nucleare del nostro paese. Sapendo di pisarete sempre meno scettici.

Insomma se questa mia proposta vi sembra interessante, fatemelo sapere nei commenti. E se volete supportare contenuti come questo, iscrivetevi al canale e condividete il video. Alla prossima!

Ciao!

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